Il lavoro del leader diventa sempre più difficile. Il motivo principale è che il contesto in cui si opera si complica sempre più. Nessun leader è in grado da solo di disporre di tutte le capacità, le conoscenze, le informazioni, le leve e i controlli delle innumerevoli risorse necessarie per svolgere una corretta governance aziendale.
La soluzione al problema è affidarsi a un leader “partecipativo”. Questi, anzitutto, è meno ipocrita, sa che non ce la fa a gestire tutto da solo, capisce che ha bisogno degli altri e che deve essere in grado di sceglierli e fidarsi di loro. E’ un leader più accessibile al dialogo, attento alla formazione e capace di valorizzare l’esperienza. Inoltre, possiede doti umane, competenze emotive, capace di gestire i rapporti personali più complessi, insieme alle decisioni, al lavoro, alla vita stessa.
Ne dà una definizione piuttosto impegnativa Kets de Vries, il quale sostiene: “I leader di alto profilo ed elevata efficienza sono consapevoli che i dipendenti non sono creature mono-dimensionali che parcheggiano la loro natura umana fuori dall’ingresso quando entrano nel luogo di lavoro. I buoni leader vedono i loro collaboratori come entità complesse e contraddittorie, persone che irradiano un misto di idealismo sublime e cupo pessimismo, di ostinata miopia e coraggio visionario, di sospettose ristrettezze mentali e fiduciose aperture, di invidia irrazionale e incredibile abnegazione”. Allora bisogna concludere che la leadership che oggi ha successo è quella che manifesta maggiori competenze psicologiche? Anche questo non è detto.
Quel che è certo è che in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, un manager deve affrontare situazioni sempre più complesse, considerato il gap in cui si trova ad operare tra le informazioni necessarie all’azione e quelle di cui può disporre, spesso in eccesso; oltretutto, la situazione è amplificata dalle pressioni sulla performance (i risultati da conseguire) e da elementi imponderabili come l’incertezza dei mercati e il fattore umano.
Queste considerazioni porterebbero a pensare che un “leader normale” difficilmente riuscirebbe a guidare delle organizzazioni complesse in un mondo tanto incerto e contraddittorio. Bisogna, allora, scegliere un leader “fuori dal normale”, cioè una personalità narcisistica, esageratamente sicura del fatto suo, ricco di quell’entusiasmo (o quell’incoscienza) che gli faccia accettare questo impegno con lo spirito di “missione speciale”?
Sembrerebbe questa la strada, visto che la maggior parte delle aziende nel mondo pare sia guidata da persone con caratteristiche molto simili a quelle descritte. D’altra parte, il narcisismo è stato sempre visto come un requisito necessario per chiunque voglia arrivare al vertice di un’impresa. Tutto normale, quindi? Niente affatto! E’ ancora Kets de Vries che ci mette in allarme: “Il narcisismo è una sostanza tossica. Sebbene sia un ingrediente-chiave per il successo, non ci vuol molto perché un leader finisca in overdose”.