Le imprese che sanno essere inclusive hanno più successo

imprese-inclusiveQuanto conta la diversità tra coloro che guidano un’azienda? Molto di più di quanto si possa pensare. Lo sta a dimostrare una ricerca effettuata lo scorso anno da McKinsey che ha rilevato come le aziende guidate da persone con una maggiore diversità etnica, razziale e di sesso abbiano maggiori probabilità di ottenere rendimenti finanziari superiori rispetto a quelle dove la diversità tra i leader è meno spiccata.

Naturalmente, non è una legge assoluta e va opportunamente tarata. Perché la diversità tra le persone può rappresentare una marcia in più per le imprese, soprattutto in termini di innovazione, soltanto se queste sapranno avvalersene in modo opportuno.

Sì, perché alla fine il problema è soprattutto il modo in cui questi individui (di etnia o sesso diverso) vengono inclusi realmente nelle attività decisionali-chiave e quale considerazione viene data ai loro contributi.

Alcuni studi confermano che un’impresa con uno spirito inclusivo è in grado di sbloccare il potenziale innovativo dei propri collaboratori in maniera consistente (158% in più).

A questo punto occorre chiarire i termini del discorso. Queste ricerche riguardano in particolare le operazioni di fusione e integrazione a livello internazionale tra aziende appartenenti a culture diverse. In Italia, casi del genere sono meno frequenti, ma anche da noi continuano atteggiamenti discriminatori se non per la razza, almeno per il genere.

Come noto, si è cercato di ovviare al problema della scarsa inclusione delle donne negli alti livelli aziendali con la legge sulle quote rosa Mosca-Golfo. Il problema vero, però, è se l’ambiente in cui operano le aziende oggi incoraggia sul serio la presenza nella leadership di alto livello di queste persone. E qual è il loro concreto apporto? Saranno ascoltate oppure considerate meno importanti? In altri termini, le loro opinioni minoritarie verranno considerate preziose e apprezzate dagli altri leader?

In sostanza, i suggerimenti di persone “di diversa etnia o sesso” hanno le stesse probabilità di essere tradotti in cambiamenti organizzativi o di fornire ispirazione per modifiche strutturali importanti rispetto agli altri?

Oppure, queste stesse persone, nel timore che il loro modo di pensare non sia in perfetta sintonia con il pensiero prevalente o la consuetudine storica nel fare le cose in azienda, finiranno per trincerarsi dietro un atteggiamento difensivo e più apatico per sopravvivere, senza avere troppi guai?

Il dilemma è questo. Se in azienda c’è una leadership inclusiva non sussistono questi problemi. Se manca, i collaboratori, siano leader o meno, saranno indotti a fare il minimo necessario per raggiungere i propri obiettivi individuali di performance, piuttosto che impegnarsi con le loro idee e proposte per migliorare le prestazioni e i risultati organizzativi col rischio poi di finire ostracizzati.

Ma come si può diventare leader inclusivi? Lo vedremo in un prossimo articolo prendendo spunto da un intervento di una giovane manager americana Denise Pirrotti Hummel.

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