La solitudine fa bene a tutti, anche al leader

Due studiosi Raymond M. Kethledge e Michael S. Erwin sono convinti – e lo hanno scritto nel loro libro “Lead Yourself First” – che se i leader riescono a stare un po’ soli con se stessi non possono che ottenere maggiore chiarezza mentale, creatività, equilibrio emotivo e coraggio morale. Per illustrare questo concetto si avvalgono di esempi di personalità importanti, come: Winston Churchill, Martin Luther King, Dwight Eisenhower, Maria Curie, Thomas Eliot, ecc. che hanno affidato alla solitudine i momenti cruciali della loro vita.

Certo, non è facile trovare tempo per noi stessi. In realtà, secondo alcuni studi, sembra che le persone che vivono nella società di oggi ricevano in una settimana più stimoli, attraverso immagini, suoni, informazioni quanto i nostri vecchi durante tutta la loro vita.

Oggi la tecnologia assorbe quasi completamente la nostra attenzione, distrugge le nostre relazioni e ci impedisce di restare soli con noi stessi. Il fatto più grave è pero che in certi casi addirittura abbiamo paura a restare soli: una serie di ricerche di laboratorio ha evidenziato che per una serie di persone stare soli in una stanza per un tempo che varia da 6 a 15 minuti diventa insopportabile.

D’altra parte, per vivere bene e diventare persone mature e consapevoli dovremmo essere contenti di stare da soli con i nostri pensieri. Questo perché è l’unico modo di capire chi siamo, cosa pensiamo quando prendiamo le nostre decisioni più importanti e ci aiuta a mantenere un certo autocontrollo.

Uno dei grandi vantaggi della solitudine, poi, è la creatività. Parlando con se stessi si possono fare scoperte molto importanti. Non solo. Secondo il professor Reed W. Larson, uno psicologo che ha studiato questo fenomeno, gli adolescenti che trascorrono il tempo da soli (senza connessioni a Internet) hanno meno probabilità di sentirsi depressi, vanno meglio a scuola e migliorano i loro rapporti con gli altri.

Secondo lo scienziato sociale Sherry Turkle, quando ci troviamo da soli, ci prepariamo per parlare con gli altri e per trasmettere loro il nostro “io” più autentico. Se invece non stiamo bene da soli, non siamo nemmeno capaci di riconoscere gli altri, che non sono più persone ma cose o strumenti utili per ottenere qualcosa.

Eppure, ci sono molti, come abbiamo visto, che quando hanno un po’ di tempo libero non riescono a dedicarlo a se stessi ma lo passano davanti a uno schermo di computer.

Henry David Thoreau nel luglio del 1845 decise di andare a vivere in un bosco e vi ci rimase per due anni, due mesi e due giorni, abitando in una piccola capanna senza alcun confort. Alla fine dell’esperimento, scrisse il libro “Walden ovvero Vita nel bosco” nel quale, tra l’altro, affermò: “Non ho mai avuto un compagno migliore della solitudine di quel periodo”. Ricordiamo anche che Thoreau è stato l’autore di un altro importante lavoro “Disobbedienza civile”, che diede inizio all’idea poi sviluppata dai movimenti di “non violenza”.

Ora, non è necessario ritirarsi in un bosco o nel deserto per trovare la solitudine. Basta staccare, sfruttando certi momenti di “calma” nell’ambito della propria vita privata e nel lavoro. Ma non è cosa semplice. Occorre una certa disciplina, ma la disciplina, soprattutto per un leader, deve essere quella che richiede in primis a se stesso. D’altra parte, stare soli con se stessi è importante perché è uno dei segnali più forti di maturità e di corretto sviluppo emotivo. La solitudine se vista in chiave positiva è uno strumento per sviluppare autocontrollo, autocritica e diventare migliori per noi stessi e per coloro che ci sono vicini.

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