In Italia i Millennial, cioè le persone nate tra gli anni 80 e 2000, sono circa 11 milioni, di cui oltre l’80% connesso abitualmente a Internet. Si tratta di un segmento demografico molto ampio che ha con i social media un rapporto piuttosto evoluto, caratterizzato dalla tendenza a filtrare il contenuto delle informazioni attraverso sistemi post-verbali, come foto, minivideo, elaborati in modo rapido che in questi ultimi anni ha alimentato le piattaforme come Instagram, Snapchat, Pinterest, You Tube e altri.
Queste persone ci sanno fare con tali strumenti. Anche se sono dilettanti, curano con molta attenzione dal punto di vista estetico le pagine che seguono, concentrandosi su argomenti di interesse specifico (viaggi, cibo, bellezza, fitness, abbigliamento, artigianato, ecc.) riuscendo a ottenere un numero anche molto elevato di followers, dai 1.000 ai 100.000. Sono i cosiddetti microinfluencer. Le aziende da un po’ di tempo se ne sono accorte e cominciano, per ora timidamente, a servirsene per incoraggiarli e approfittare del loro successo per veicolare le offerte.
Cambiano le cose: il declino dei testimonial
Le grandi aziende, di solito per commercializzare i marchi più popolari hanno fino ad oggi reclutato personalità famose, come calciatori, modelle, attori, artisti, ecc., per legare il loro volto e la loro fama a certi prodotti. Sono i cosiddetti macro o mega influencer che raccolgono una grande visibilità da parte del pubblico. Ma, nonostante il loro fascino naturale, non hanno il tempo né la volontà di sviluppare un rapporto personale con i loro followers, coinvolgendoli uno per uno, come invece capita ai microinfluencer.
Non solo, i millennial, esperti di media che sono la maggior parte, spesso non riconoscono questi testimonial come autentici, interpretandoli come semplici prestanome, facce giustapposte al brand pubblicizzato ma che con esso, in realtà, non hanno nulla a che vedere.
Al contrario, i microinfluencer hanno dalla loro parte credibilità e autenticità, ci credono realmente in quello che scrivono, sono diretti, estroversi, sanno coinvolgere in modo spontaneo e accattivante. I consumatori li riconoscono come persone reali che dispongono di competenze e conoscenze profonde rispetto a quello di cui parlano e sono soprattutto pronti ad aiutarli con consigli, suggerimenti, spassionati e onesti, non motivati da secondi fini di vendita. Oltretutto, sanno fornire risposte appropriate e personalizzate, rispondendo alle esigenze uniche di ciascun follower. Siamo insomma davanti alla nascita del nanomarketing. Che poi tanto nano non è!
Cosa possono insegnare i microinfluencer agli operatori del marketing?
Già negli Usa, grandi società come Nike, Starbucks, Sephora, Red Bull hanno capito che la collaborazione con i microinfluencer consente loro di arrivare direttamente alla base dei clienti e rende i marchi più riconoscibili nell’ambito dei consumatori millennial e ne approfittano per promuovere offerte, generare buzz (marketing non convenzionale) con l’uso di hashtag, utilizzando a loro vantaggio i contenuti più genuini realizzati dai microinfluencer. Al contrario, aziende di dimensioni e budget ridotti, grazie ai microinfluencer e a un loro intelligente utilizzo sono riuscite a raggiungere i millennial e a crescere in tempi ridotti.
Qualcuno è arrivato a dire che il 2018 sarà l’anno dei microinfluencer e che questi personaggi saranno importanti non solo per il B2C ma anche per il B2B.
Di alcune cose, però, occorre tenere conto:
- I microinfluencer hanno un pubblico altamente segmentato e mirato. Questo è importante per le aziende che vogliono raggiungere sottogruppi di clientela ristretta e spesso non facile da individuare.
- Le aziende possono imitare le abilità dei microinfluencer che consistono nell’essere diretti ed esporsi con storie ed esperienze che coinvolgono facilmente le persone mettendo in buona luce il loro brand, ma l’operazione è tutt’altro che facile.
- La caratteristica dei microinfluencer è quella di rappresentare dei “nudge”, cioè non un marketing pesante e spesso falso ma suggerimenti, spinte “leggere”, intelligenti, ammiccanti. Convincerli a promuovere brand nei quali non credono o nutrono dei dubbi sarebbe impossibile.
- Imparare da loro a usare un linguaggio nuovo, utile, concreto, fatto di esperienze condivise (l’importanza delle storie personali è indubbia).
Considerato il notevole potere di acquisto di questa generazione e la loro esperienza digitale, i professionisti del marketing dovrebbero cominciare a modificare certe loro strategie, prendendo esempio e spunto dai microinfluencer.
*Mi scuso per aver messo nel titolo quattro parole in inglese. Avrei potuto evitarlo? Molto probabilmente sì. Ma – confesso – non ce l’ho fatta …