
Abbiamo rivolto alcune domande al prof. Josè d’Alessandro, della Luiss Business School, che domani terrà a Milano un corso sul tema dell’Intrapreneurship, organizzato da ADICO presso il Grand Hotel Doria, di via Doria 22 a Milano, dalle ore 9,30 alle ore 15.
Come è possibile creare in azienda uno “spirito imprenditoriale diffuso”?
Innanzitutto non sempre bisogna crearlo diffuso: io sono contro posizioni “ideologiche” e diffuso di fatto significa cambiare alla radice la cultura aziendale. Se poi si vuole farlo bisogna creare le condizioni, anche e soprattutto attraverso dei meccanismi virali, attraverso dei sistemi premianti e dei cambiamenti organizzativi rilevanti.
Quali sono le principali caratteristiche che si richiedono ai collaboratori?
Non tutti nasciamo imprenditori, moltissimi possiamo imparare ad esserlo un po’, alcuni non vogliono saperne. Spirito d’iniziativa, pensare in termini di opportunità ed avere ben presente il modello esistente di business aziendale e saper valutare l’impatto dell’opportunità su di esso sono tra le principali.
Questa strategia potrebbe incidere in qualche modo sulla struttura organizzativa e gerarchica dell’azienda?
Non chiamerei questa una strategia, ma qualcosa al tempo stesso di più profondo e di più operativo. Se come diceva Drucker la cultura si mangia la strategia a colazione, non si può fare una strategia di imprenditorialità interna: una cultura non si cambia con la vision o la mission, e tantomeno con direttive o corsi di formazione, ma con comportamenti organizzativi concreti, che ne sono la “prova provata” (e.g. non esiste la cultura della fiducia, se non vediamo, incoraggiamo e ricompensiamo comportamenti fiduciosi dei dipendenti).
Bisogna cambiare la cultura dell’azienda ed è per questo che è così difficile, e si fallisce quasi sempre. La cultura (insieme alla strategia) determina poi l’organizzazione.
Questo nuovo “spirito imprenditoriale individuale” avrebbe favorevoli ripercussioni anche sulla produttività? Lo stesso ambiente di lavoro sarebbe destinato a cambiare, perché tutti i collaboratori sentirebbero il bisogno di dare prova delle proprie capacità, di prendersi le responsabilità dei risultati e di impegnarsi per esprimere il meglio di sé. E’ così?
All’inizio l’impatto potrebbe essere addirittura negativo, degli “imprenditori” interni senza direzione e resi isterici dai processi di un’azienda “classica” potrebbero distruggere l’azienda.
Forse, questo cambiamento potrebbe preludere all’esigenza di una partecipazione diretta dei collaboratori alla gestione aziendale?
È quasi una tautologia: se io posso decidere ed agire come un imprenditore sto già di fatto partecipando alla gestione strategica dell’azienda. Sicuramente richiede dei modelli organizzativi e di governance completamente diversi.
Le aziende italiane sono pronte a questa nuova strategia?
Meno che quelle di altri paesi, anche perché moltissime sono già aziende imprenditoriali, medie e piccole per di più, e che quindi reggono a stento la presenza del padrone imprenditore, figuriamoci di tanti imprenditori. Quelle grandi ancora meno, perché da un lato non abbiamo e non coltiviamo la fiducia, quintessenziale alla presa di responsabilità, e dall’altro costruiamo le regole necessarie alle grandi organizzazione in termini di sistemi di controllo burocratici.