Certe nostre paure sono giustificate? Come percepiamo i rischi?

Talvolta può prenderci un certo scoramento. Dobbiamo riconoscere che noi uomini (e donne) non siamo efficienti come vorremmo. Che le decisioni che prendiamo non sempre sono razionali. A volte, addirittura, compiamo scelte assurde, che pesano in termini economici, di salute e incidono sulla durata della nostra vita. Chi poi oltretutto ha anche maggiori responsabilità – in quanto guida aziende, o governi – con le sue decisioni può causare danni anche maggiori non solo a sé ma agli altri.

Insomma, il giudizio degli uomini (e delle donne) nel prevedere il rischio di qualche accidente e le probabilità di eventuali conseguenze negative delle nostre azioni è decisamente inaffidabile e contrasta con modelli statistici o indagini probabilistiche note a tutti.

Abbiamo paura, ad esempio, degli attentati, ma la probabilità di morire per un attentato, di qualunque origine sia, è appena una su 20 milioni, due volte meno probabile che perdere la vita in ascensore e cento volte meno probabile che essere colpiti da un asteroide.

Abbiamo paura degli squali (quanti film hanno avuto successo sfruttando questo sentimento?). Eppure circa 10 persone muoiono ogni anno per attacchi degli squali mentre ne muoiono 150 per la caduta di noci di cocco. Temiamo ragni e serpenti? Eppure negli Usa i morti per queste cause sono gli stessi che muoiono per morsi di cani. Mentre ben più rischiose sono le punture di vespe ed api (tre volte di più) e maggiore il rischio di essere colpiti da fulmini (10 volte di più).

E’ facile a questo punto pensare: io non frequento gli oceani infestati da pescecani, non sosto sotto le palme da cocco, evito vespe, api, cani, ecc. Naturalmente, anche questa considerazione non ci può tranquillizzare del tutto: dall’alto, ad esempio, anziché noci di cocco, possono caderci addosso vasi di fiori, televisori lanciati da persone che non ne possono più di certe trasmissioni televisive oppure le stesse persone che pensano di farla finita, piombandoti sulla testa.

Al contrario, la maggioranza delle persone non si rende conto che ci sono rischi reali che possono ridurre la durata della nostra vita come il fumo, l’eccessivo consumo di alcool, la vita troppo sedentaria. Eppure ci sono numerosissime ricerche che lo confermano.

Alcuni scienziati dell’università di Cambridge, sotto la guida della gerontologa Kay-Tee Khaw, dopo avere monitorato per diversi anni oltre 20.000 soggetti, sono arrivati alla conclusione, semplice e pure intuitiva, che bastano quattro buone abitudini per prolungare la vita in modo significativo: non fumare, fare attività fisica quotidianamente, bere moderatamente alcolici e mangiare molta frutta e verdura.

Ciò che oggi prevale su tutto è la percezione del rischio che, come abbiamo visto, spesso è ingannevole, distorta o alimentata per scopi poco nobili. D’altra parte, è anche vero che viviamo in una società altamente complessa per cui qualsiasi decisione comporta una serie di rischi, alcuni prevedibili altri no, che ci portano a maturare un senso di sfiducia, di insicurezza.

Si arriva al paradosso per cui, maggiore ricerca e conoscenza scientifica anziché permetterci di avere più sicurezza e minori rischi hanno l’effetto contrario di accrescerli. Più sappiamo più siamo consapevoli della complessità in cui viviamo e cresce in relazione la nostra incertezza per il futuro, con conseguenze deleterie per quanto riguarda il consenso sociale.

Inoltre, la gente comune non ragiona come gli esperti che giudicano il rischio in relazione a dati precisi, cioè alla loro frequenza e alle conseguenze che causano. La gente comune inserisce nella valutazione del rischio anche altri fattori fuorvianti, finendo per sottostimare eventi pericolosi (pur confermati da frequenze di accadimento e relative conseguenze) rispetto ad altri eventi rari ma per lpiù significativi.

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