Gian Carlo Cocco: dalla competenza distintiva al “time to mind” fino allo stato di grazia professionale

Affrontiamo altri contenuti del libro realizzato dal prof. Gian Carlo Cocco, “Governare l’impresa con il capitale umano”, Franco Angeli, 24,00 euro, ponendoci la domanda più importante: come contribuire a sviluppare il patrimonio intangibile delle imprese costituito dal fattore umano?

Il libro di Gian Carlo Cocco fornisce linee guida indispensabili per tenere sotto controllo e, soprattutto, arricchire il contributo individuale e collettivo dei collaboratori delle aziende, seguendo passo dopo passo la loro evoluzione formativa, attraverso verifiche comportamentali, organizzative, valutazioni delle prestazioni, analisi dei ruoli, delle posizioni e dei profili, nell’ambito delle competenze distintive di ogni azienda e delle intelligenze multiple a livello manageriale.

E’ un libro che utile per tutte le imprese più sane, quelle che cercano di produrre e diffondere ricchezza, senza usare soluzioni esclusivamente finanziarie, ma fondando il proprio successo, nel rispetto dei clienti e dei collaboratori che rappresentano la ricchezza “reale” che va difesa e il più possibile valorizzata.

Quanto e come incide la struttura organizzativa di un’impresa in relazione alla valorizzazione del capitale umano? Oggi, spesso sentiamo parlare di imprese in cui viene messa in discussione una certa visione della gerarchia, dei ruoli e dei profili professionali (lean organization). Qual è il suo pensiero in merito?

Non c’è dubbio che l’organizzazione tradizionale gerarchico-funzionale deve essere superata. Moltissime forme di organizzazione che si stanno sperimentando vanno a favore della possibilità di  inventariare e di sviluppare il valore del capitale umano. Un aspetto chiave è che per sfruttare in pieno il capitale umano occorre che gli operatori d’impresa non solo abbiano i migliori requisiti professionali, ma che siano messi in grado di utilizzarli (e all’occorrenza di incrementarli o modificarli).

Lei si sofferma sul concetto di competenza distintiva, concetto dinamico, che nasce dall’apprendimento collettivo, e che si trova esclusivamente nel patrimonio intangibile di un’impresa e, quindi, rappresenta l’elemento strategico che la differenzia da un’altra. Vuole chiarire questo concetto?

La competenza distintiva è, in sostanza, un saper fare coerente con le richiesta di una determinata clientela. Dato che le esigenze della clientela sono mutevoli e in continua trasformazione (specialmente nella intricata  e contraddittoria società contemporanea) occorre che la competenza per rimanere distintiva (cioè apprezzata dai clienti) venga sistematicamente aggiornata. E’ proprio per questa esigenza che risulta essenziale la contabilità del capitale umano (non basta possedere determinate conoscenze e capacità, occorre saperle aggiornare, pena l’uscita dai mercati o l’obsolescenza dei servizi pubblici).

Può spiegarci due fenomeni particolari che definiscono due tipi di lavoratori oggi sempre più frequenti, il knowledge worker (che è altamente specializzato ma rischia talora di fossilizzarsi e perdere le proprie potenzialità innovative) e il gig worker (precario, diventato pura forza lavoro di bassa qualità, facilmente intercambiabile)?

Si tratta di una delle contraddizioni più pericolose dell’economia contemporanea: i knowlegde worker devono essere inseriti nell’agone della competizione e nei continui stimoli della clientela. I gig worker sono, purtroppo, i figli della finanza speculativa (si pensi ad Amazon o RyanAir): quando l’economia era in crescita queste figure si pensava di sostituirle con l’automazione. Oggi rappresentano il nuovo “proletariato” o, addirittura, il nuovo “sottoproletariato” (come i giovani che consegnano pizze e pasti).

Nella valutazione dei collaboratori lei introduce alcuni aspetti che riguardano il processo di apprendimento, rifacendosi alle recenti scoperte in ambito neuroscientifico. In particolare, ci interessa il tema del “time to mind”, inteso come formazione continua di fronte ai fenomeni di obsolescenza delle conoscenze. In che modo occorre che i contenuti da acquisire tengano conto anche del comportamento, dell’esperienza concreta di chi li mette in pratica?

Con il time to mind, che consiste nel rendere efficienti ed efficaci i processi di apprendimento non solo delle conoscenze, ma anche e, soprattutto, delle soft skill, è possibile introdurre ed attuare il cosiddetto auto-coaching, ampiamente sperimentato ed attuato nello sport. Il miglior sviluppatore di noi stessi siamo noi stessi, i formatori e gli allenatori sono importanti facilitatori, ma è solo la volontà e l’impegno personale che crea il successo.

Nei suoi progetti di consulenza e formazione, ha potuto sperimentare e verificare direttamente e in modo empirico il livello di attendibilità delle misurazioni, proposte secondo i suoi modelli, valutando con buona approssimazione il possesso delle conoscenze e delle capacità negli operatori aziendali che fanno parte integrante della competenza distintiva di un’impresa?

Le mie proposte sono state ricavate dall’applicazione pratica e dall’esperienza: in questo condivido in pieno il processo di sviluppo delle scienze (trial and error).

Che importanza attribuisce alla mindfulness e alle varie tecniche da lei suggerite per arrivare allo “stato di grazia professionale”?

Nello sport lo stato di grazia si è rivelato un fattore chiave per l’incremento delle prestazioni e per il raggiungimento dei risultati. Il raggiungimento di questa condizione garantisce di gran lunga più elevate prestazioni in ogni campo (direzione d’orchestra, chirurgia, psicoterapia, recitazione, ecc.). E’ indispensabile diffonderlo in campo manageriale anche per combattere la superficialità indotta dalla sindrome da smartphone.

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