Abbiamo rivolto alcune domande al prof. Piercarlo Maggiolini, docente al Politecnico di Milano presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, sulla Responsabilità Sociale d’Impresa e sull’economia civile.
Come interpreta l’aumentato interesse negli ultimi anni nei confronti del tema della Responsabilità Sociale d’Impresa (Rsi)? Si veda anche il nostro precedente articolo “Il capitalismo sull’orlo di una crisi di nervi?”
Il crescente interesse verso la Responsabilità Sociale dell’impresa (e la Business Ethics) può essere visto soprattutto come un sintomo rilevante del disagio esistenziale connesso con alcune caratteristiche intrinseche dell’economia (e della società) postindustriale, connotata da una progressiva disumanizzazione perché centrata sulla “lotta fra persone” (come sostiene Daniel Bell) e su relazioni umane essenzialmente strumentali.
C’è modo di “curare” questa autentica “malattia” dell’era postmoderna? Cosa ne pensa dell’economia civile?

La prospettiva dell’“Economia Civile” può aiutare a tale scopo in quanto può suggerire idee per affrontare il problema di questo “disagio esistenziale” nell’economia postindustriale. L’Economia Civile (che si rifà a una tradizione secolare già viva all’epoca dell’umanesimo prima e dell’illuminismo italiano poi) è vista innanzitutto come una prospettiva culturale con la quale interpretare l’intera economia, importante per capire i problemi economici e sociali che caratterizzano la transizione dall’economia industriale a quella postindustriale.
In che modo l’economia civile può esserci d’aiuto?
La prospettiva dell’Economia Civile oggi ci aiuta soprattutto a diagnosticare meglio la “malattia” che affligge il pensiero economico e l’economia contemporanea, ma ci può suggerire anche elementi di possibili “terapie” individuando – continuando con la metafora – i “principi attivi” (reciprocità/fraternità, attenzione alla dimensione “espressiva” e al bisogno di identità, beni relazionali vs posizionali, felicità vs utilità, ovviamente la stessa Rsi, etc.) su cui tali terapie dovrebbero basarsi.
A che punto siamo?
I “farmaci” e i “protocolli terapeutici” sono ancora in gran parte da mettere a punto. Sotto questo aspetto, ritengo auspicabile anche un intelligente recupero della migliore tradizione della cosiddetta “Scuola italiana di Economia Aziendale” (fondata da Gino Zappa negli anni ’30) i cui valori ispiratori – a mio avviso – sono assolutamente compatibili con quelli dell’Economia Civile.

Resta pertanto molto da fare sul piano della terapia, e cioè dell’implementazione della prospettiva predetta, a livello macro, meso e micro. C’è quindi grande spazio per realizzare adeguate politiche economiche e sociali, riforme istituzionali e del diritto (vedi ad esempio l’introduzione in Italia della class action, per dare maggior potere ai piccoli risparmiatori, alle associazioni di consumatori, Ong, etc., le riforme del Welfare, del mercato del lavoro, etc.).
Si pensi poi – a livello meso e micro – alla definizione di modalità innovative di gestione delle risorse umane, di forme di rendicontazione sociale e ambientale, di forme di governance d’impresa, etc. Fino alla progettazione organizzativa e tecnologica, e così via (e c’è quindi spazio per il contributo di esperti e studiosi d’ogni campo).
Ma è il lavoro (e la battaglia) scientifico-culturale ed educativo che dovrebbe avere la priorità assoluta.
La “biodiversità” può salvare l’economia
Il sociologo Luciano Gallino diceva: “Una serie di riforme dell’economia capitalistica che riducesse i suoi squilibri endemici, e ricostituisse un rapporto accettabilmente equilibrato tra sistema produttivo, sistema finanziario e ambiente, comporterebbe un tale mutamento dei rapporti di forza politici a livello mondiale da apparire al momento quasi inconcepibile”. Lei cosa ne pensa?
Per quanto riguarda Luciano Gallino, preso alla lettera ha ragione! Ma, rifacendomi a Stefano Zamagni e alla sua idea di economia civile, cosa dice quel filone di pensiero economico?
Che l’economia di mercato (per il bene dell’economia di mercato!) deve essere molto più pluralista di oggi, dove – accanto alle imprese capitalistiche “tradizionali” (non di rado socialmente “irresponsabili”, per dirla ancora una volta con Gallino) – ci deve essere posto per altre forme di fare impresa, come, appunto, oggi diremmo, Società Benefit (vedasi nostro precedente articolo), ma anche imprese sociali (vere imprese “sociali” e non camuffate per ingannare, vedi la sorte di molte imprese cooperative oggi).
È però vero che grande importanza hanno le regolazioni statali e sovrastatali come quelle dell’UE, WTO, etc. e il comportamento delle diverse aggregazioni di interesse (ai vari livelli), dalle associazioni di categoria ai sindacati, alle unioni di consumatori (un po’ più potenti oggi) e, non ultimo, una adeguata “cultura” economica sempre più diffusa e condivisa (vedi, ad esempio, sulle tematiche ambientali). Insomma, anche in economia la “biodiversità” può salvare l’economia.
In fondo, è proprio la ” monocultura” economica, imprenditoriale, finanziaria, etc. che sta, se non uccidendo, certo disumanizzando il sistema economico attuale. Basti osservare la sorte della Sharing Economy, che dalle promesse di una economia collaborativa che mirava a risocializzare l’economia si è sempre più spostata verso nuovi monopoli e verso un nuovo sfruttamento del lavoro, privo di regole e protezioni adeguate!
Approfondimenti:
Luigino Bruni, Stefano Zamagni, L’economia civile, Il Mulino, 11 euro.
Per saperne di più sulla figura del sociologo Daniel Bell, segnaliamo l’articolo “Dalla fine dell’ideologia alla società post-industriale. Daniel Bell sociologo del potere”