Sappiamo quanto possa essere dannoso un capo che si comporta male con i propri collaboratori e come questi ultimi vivano situazioni difficili che hanno ripercussioni sulle loro condizioni fisiche e mentali.
Recenti ricerche dimostrano che un capo inadeguato nuoce, anche gravemente, alla salute dei dipendenti: ben il 77% di coloro che hanno un rapporto difficile con il proprio manager manifesta sintomi di stress come cali fisici, stanchezza, mancanza di energia, aumento dell’isolamento dal lavoro, sensazioni di negatività e cinismo, diminuzione dell’efficacia professionale.
È il cosiddetto burnout – che letteralmente significa “bruciare completamente” – cioè un esaurimento emotivo che comporta una crisi personale con un forte calo dell’autostima e della motivazione in ambito lavorativo e si manifesta soprattutto in quelle professioni che comportano contatti e relazioni continue con colleghi e superiori.
Burnout: sindrome, non malattia
Questo tipo di stress da lavoro è considerato una sindrome, non una condizione medica. Lo ha specificato recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dopo aver inserito per la prima volta il burnout nei propri elenchi.
La differenza è sostanziale. Quando un disturbo ha una causa ben riconoscibile e in qualche modo accertata, si parla di malattia. Se invece il disturbo è caratterizzato da una serie di sintomi che non è possibile ricondurre in maniera diretta e lineare a una causa precisa e determinabile, si definisce sindrome.
Naturalmente, questa sindrome può nel tempo trasformarsi in malattia. Secondo alcune statistiche il 30% di coloro che ne soffrono ha la probabilità di essere soggetto a malattie coronariche, ipertensioni, arrivando, perfino, all’infarto e al tumore.