Sottili Atti di Esclusione (SAE), microaggressioni verbali

Quando vengono a mancare i contatti fisici (strette di mano, baci e abbracci, pacche sulle spalle ecc.), in ambito famigliare e lavorativo, le parole acquistano – anche contro la nostra volontà – un peso molto maggiore del passato e spesso, a causa del nervosismo che cresce per colpa del distanziamento sociale imposto dal virus, le usiamo, anche senza volerlo, a danno di chi ci è vicino, creando problemi al suo benessere fisico ed emotivo.

Con l’avvento del Coronavirus si nota un aumento, oltre ad atti di violenza reale, anche di quelli che vengono definiti SAE (sottili atti di esclusione), vale a dire, microaggressioni verbali (ma anche scritte, come SMS, mail, ecc.) che sfuggono anche alle persone motivate dalle migliori intenzioni. Gli autori di un recente libro, intitolato “Subtle act of Exclusion. How to Understand, Identify, and Stop Microaggressions”, Tiffany Jana e Michael Baran, ne elencano diversi: stereotipi esagerati, complimenti rovesciati, assunzioni infondate o oggettivazione.

In inglese, si usa anche il termine “doublespeak”, che potremmo definire linguaggio ipocrita, che nasconde la verità dietro una serie di parole ambigue, di difficile interpretazione (gerghi tecnici e burocratici) o edulcorate (eufemismi). Siamo certi che molti Lettori, soprattutto se, a causa della loro sensibilità, ne sono stati oggetto, potranno averne qualche ricordo preciso. William Lutz ne ha scritto un saggio nel 1989, intitolato proprio “Doublespeak”.

Si tratta di battute, anche apparentemente innocue, calembour, semplici allusioni all’aspetto estetico, alla provenienza etnica, alle idee e ai gusti personali di qualsiasi tipo, oppure apprezzamenti, apparentemente positivi (“è un tipo” per dire che non è bella), ma che possono, altresì, provocare reazioni negative (micro-offese) o colpire la sensibilità o l’amor proprio delle persone che ne sono oggetto (imbarazzo, sensazione di inadeguatezza), destabilizzando il loro benessere psico-fisico ed emotivo. Vere e proprie “punture di spillo”, che però possono anche lasciare il segno.

Nel prossimo articolo approfondiremo il concetto.

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