
Il capitalismo, o meglio il realismo capitalista, ci ha liberato da quelle che il filosofo francese Alain Badiou chiama “astrazioni fatali”. L’accenno al famoso film che ha un titolo simile (al singolare) non è casuale.
Shane Snow è un giornalista molto attento alle caratteristiche dei futuri leader. E’ convinto che una delle skills più importanti per chi vuole avere successo sia l’umiltà. O meglio, quella che lui chiama, più precisamente, l’umiltà intellettuale.
Per capire se e come la leadership sta cambiando, dovremmo anzitutto cominciare a interrogarci sul modo in cui le nuove generazioni – millennials e Z generation – concepiscono il concetto stesso di leadership. Anche se molti di loro non hanno ancora una chiara visione di come debba essere il leader del futuro, i giovani stanno sempre più rifiutando le pratiche di leadership di vecchia scuola, e le organizzazioni, se già non l’hanno fatto, saranno costrette a ripensare e rimodellare la struttura della governance se vogliono sopravvivere.
Spesso abbiamo difficoltà, quando parliamo con qualcuno – che magari ha atteggiamenti apertamente razzisti, negazionisti o crede fermamente in qualche idea complottista – a fargli cambiare idea o, soltanto, a farlo ragionare.
In un libro uscito recentemente per Guanda Editore, “Il manifesto del rinoceronte. L’avventura del liberalismo”, Adam Gopnik, scrittore e giornalista, svolge una appassionata difesa del liberalismo. Riconosce che le idee liberali si sono poste sempre in una posizione intermedia e, quindi piuttosto scomoda, tra quelle di stampo conservatore e quelle che predicano spinte radicali o rivoluzionarie.
In un precedente articolo, abbiamo parlato di alcune persone ricchissime che, a un certo punto della loro vita, decidono di devolvere in beneficenza una parte notevole delle loro enormi sostanze.
Chi crede nel capitalismo e nella libera iniziativa è convinto, in buona fede (?!), che una persona può avere successo e diventare ricco grazie alle proprie capacità: perché è intelligente, innovativo, lavora sodo, sa esprimere le proprie doti nel modo migliore ed è in grado di sfruttare al massimo le opportunità che gli si presentano.
Il nuovo libro di Sebastian Ostritsch “Hegel. Der Weltphilosoph”, il filosofo mondiale, è interessante perché, tra gli altri temi, affronta quello della disuguaglianza non soffermandosi esclusivamente sull’aspetto economico.
Chi ha una certa età – diciamo sui settant’anni – non può dare una valutazione obiettiva del capitalismo. Ricorda vagamente (perché era piccolo) la crisi del dopoguerra ma non può non entusiasmarsi ripensando all’epoca della ripresa, al boom economico, al clima di entusiasmo di quegli anni, ai miglioramenti concreti nella vita di ogni giorno, alle speranze per un futuro sempre migliore. Un figlio di operaio (come il sottoscritto) ha potuto frequentare l’università e aspirare a un lavoro più qualificato, ben retribuito, tranquillo anche dal punto di vista pensionistico.
La creatività sembra diventata una caratteristica indispensabile per ottenere successo nell’ambito degli affari, della professione ma anche per fare carriera come dipendenti. Certamente, nessun responsabile delle risorse umane ve lo chiederà mai esplicitamente. Anche perché a una eventuale domanda diretta come la seguente: “Sei creativo?” chi oserebbe rispondere “No”?