Chi ha una certa età – diciamo sui settant’anni – non può dare una valutazione obiettiva del capitalismo. Ricorda vagamente (perché era piccolo) la crisi del dopoguerra ma non può non entusiasmarsi ripensando all’epoca della ripresa, al boom economico, al clima di entusiasmo di quegli anni, ai miglioramenti concreti nella vita di ogni giorno, alle speranze per un futuro sempre migliore. Un figlio di operaio (come il sottoscritto) ha potuto frequentare l’università e aspirare a un lavoro più qualificato, ben retribuito, tranquillo anche dal punto di vista pensionistico.
Oggi, per i giovani, non c’è più il futuro di una volta. I frequenti sondaggi mostrano un livello di pessimismo giovanile senza precedenti: la maggior parte dei giovani si aspetta di avere standard di vita inferiori rispetto ai genitori. Ma non è solo pessimismo, è una realtà di fatto: negli ultimi quattro decenni, le prestazioni economiche garantite dal capitalismo sono peggiorate, al di là della crisi finanziaria globale. Le credenziali fondamentali del capitalismo, cioè il costante aumento del tenore di vita per tutti sono state decisamente ridimensionate.
Ansia, rabbia, disperazione
Nonostante gli enormi progressi che proprio grazie al capitalismo si sono avuti nel settore delle tecnologie e delle politiche pubbliche dal 1980 a oggi, i giovani sono convinti che la vita dei propri figli sarà peggiore della propria e si rendono conto che nel capitalismo c’è qualcosa che non funziona.

Queste considerazioni portano a nutrire sentimenti negativi come ansia, rabbia, disperazione, a sgretolare la fiducia nelle istituzioni e tra le persone.
Una analisi precisa e attenta di questo fenomeno la fa Paul Collier, professore di economia e politiche pubbliche, nel suo libro “Il futuro del capitalismo: Fronteggiare le nuove ansie”. Collier arriva a definire la nostra come la “società dei rottweiler”, cioè dei cani da combattimento, che ben rappresentano l’uomo economico oggi, un aggregato di pulsioni primitive guidate dall’egoismo e dall’interesse individuale che l’utilitarismo ha accreditato e il neoliberismo ha enfatizzato.
I leader di oggi “comunicatori in capo”
Di fronte alla crisi reale e ideale dei giovani, la politica risponde oggi prevalentemente con atteggiamenti populisti, guidati da personaggi carismatici, non “comandanti in capo” ma “comunicatori in capo”, che “evitano persino l’analisi rudimentale di un’ideologia, saltando direttamente a soluzioni che suonano vere per due minuti. La loro strategia è quella di distrarre gli elettori dal pensiero più profondo attraverso un caleidoscopio di intrattenimento”, come fanno le celebrità dei media.
Intanto le disuguaglianze crescono: tra depositari di nuovi saperi e masse di lavoratori senza qualifica, tra Paesi ricchi pronti a sfruttare le nuove tecnologie e Paesi poveri, dove anche l’accesso all’acqua è un problema.
Collier si chiede come sia possibile affrontare questi fenomeni che sono nuovi e complessi. Non serve risuscitare vecchie ideologie né affidarsi al salto casuale del populismo. Occorre una buona ed energica dose di pragmatismo. Leggendo il libro capirete di più.