Il nuovo libro di Sebastian Ostritsch “Hegel. Der Weltphilosoph”, il filosofo mondiale, è interessante perché, tra gli altri temi, affronta quello della disuguaglianza non soffermandosi esclusivamente sull’aspetto economico.
Oggi, continuiamo a ripetere che la questione della disuguaglianza tra persone e popoli è soprattutto una questione di differenza di patrimonio, visto che (stima Oxfam), l’anno scorso la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco degli italiani superava quanto detenuto dal 70% più povero, sotto il profilo patrimoniale.
Fermarsi a questa considerazione, dice Ostritsch, però non è sufficiente. Non è questo l’aspetto più preoccupante. E quando si analizza il fenomeno della disuguaglianza non è opportuno soffermarsi solo sulla massa di persone a rischio “glebalizzazione”, come direbbe Diego Fusaro, cioè quella plebe (Pöbel) fatta di “vite di scarto”, che resta ai margini della società, ne è esclusa, perché viene respinta ma contemporaneamente si autoesclude.
L’estrema povertà e l’estrema ricchezza sono fattori che vanno stigmatizzati non solo riguardo all’aspetto di ingiustizia sociale, quanto piuttosto perché creano forti destabilizzazioni nell’ambito della società.
Sia gli straricchi che i poveri in canna non si sentono più parte della società, e di conseguenza non sentono più di avere dei doveri nei confronti della comunità.

Se nelle fasce più povere questo emerge attraverso un aumento della devianza, della criminalità, dell’assenteismo partecipativo, la stessa reazione, seppure in altri termini, si verifica, con effetti decisamente più devastanti, per le fasce più ricche che, dalla loro posizione dominante, non sentendosi più parte della collettività, non si ritengono nemmeno più vincolati a usanze, leggi, principi etici validi per la plebe, e si sentono autorizzati a far valere le loro ragioni egoistiche (arricchirsi sempre di più), potendo disporre di tutti gli strumenti per farlo, sicuri, tra l’altro, di restare impuniti. E’ quella che Hegel chiamava la “tragedia dell’etica”.
Quindi, la proposta della redistribuzione delle risorse economiche – per quanto logica – sarebbe solo un palliativo e non risolverebbe il problema che si trova a monte ed è un vero e proprio deficit mentale ed etico.
E’ necessario, quindi, che gli ultra ricchi e gli ultra poveri tornino a considerarsi membri della società a tutti gli effetti, con precisi diritti ma soprattutto doveri e obblighi da rispettare. Ci vuole un cambiamento culturale profondo e condiviso. Cosa tutt’altro che facile.

Se per i secondi (i poveri) la cosa potrebbe anche essere possibile e sempre recuperabile (forse ridimensionando certe politiche che finora hanno puntato solo alla liberalizzazione individualistica e alla valorizzazione dei diritti del consumatore, anziché del lavoratore), per i primi, cioè quelli ricchissimi, il rischio è che non ci sia più il tempo per fare nulla, visto dove si sono spinti. Ormai, è molto, molto difficile fermarli… anche se alcuni di essi (che magari non pagano le tasse) sono stati folgorati sulla via della filantropia. Ma questa è un’altra storia e non sempre a buon fine.