I ricchi e la filantropia

Bill e Melinda Gates

In un precedente articolo, abbiamo parlato di alcune persone ricchissime che, a un certo punto della loro vita, decidono di devolvere in beneficenza una parte notevole delle loro enormi sostanze.

Abbiamo citato Bill Gates che, quasi venti anni fa, insieme alla moglie ha costituito, a loro nome, una Fondazione per aiutare alcune popolazioni dei Paesi più poveri dell’Africa, con interventi in ambito sanitario ed educativo, impegnando cifre molto più consistenti di quelle provenienti da istituzioni statali (si parla, fino ad oggi, di una cinquantina di miliardi dollari).

Ma anche Waren Buffett, dopo aver devoluto 33 miliardi alla Fondazione di Bill Gates, ha creato un club di miliardari (attualmente sarebbero quasi duecento) disposti a privarsi del 50% delle ricchezze che hanno accumulato nel tempo per scopi benefici.

A questi si aggiunga Mark Zuckerberg (ne abbiamo già parlato in questo articolo), che ha una fondazione con finalità formative con la moglie, disposto a rinunciare al 99% del valore delle sue azioni di Facebook da devolvere in beneficienza, e Richard Branson, patron della Virgin, (anche di lui abbiamo già trattato) che, insieme ad altri, ha creato Breakthrough Energy Coalition, una istituzione con finalità ecologiste.

Insomma, tutte iniziative benemerite che sarebbe assurdo criticare per partito preso perché in ogni caso hanno davvero contribuito a rendere il mondo meno ingiusto. Qualcuno ha calcolato che più di 35 milioni di bambini sono stati salvati grazie agli interventi della Fondazione di Bill e Melinda Gates. Basti pensare che il loro contributo al bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è quattordici volte maggiore di quello del governo inglese…

E allora, cos’è che non va nelle iniziative di filantropia, che tra l’altro sembra siano in continua evoluzione?

Semplice. Tutto sta in una domanda sulla quale occorre riflettere. E’ giusto che siano dei privati a decidere quali siano i Paesi da aiutare, le vite da salvare, i bambini da curare, gli interventi da realizzare per favorire l’educazione delle popolazioni, migliorare la struttura sanitaria, indirizzare le politiche agricole?

C’è una scrittrice indiana, Arundhati Roy, che si pone le stesse domande e si risponde così: “I miliardi di dollari distribuiti da queste Fondazioni consentono a chi le guida di plasmare il mondo come vogliono, decidere la priorità degli interventi, comprare le politiche dei governi, determinare i programmi universitari, finanziare ong e attivisti in ogni Paese, ecc”.

Arundhati Roy

Qualcuno potrebbe dire: “Ben vengano questi miliardari generosi che aiutano chi si trova in difficoltà”. Giustissimo. Il problema di questa ondata di filantropia è che mette nelle mani di poche persone un potere discrezionale enorme, e con esso la vita e il futuro di una massa di esseri umani, che dipendono dalle loro decisioni, che possono improvvisamente venire meno o cambiare direzione.

In una società che definiamo libera è accettabile che un gruppo esiguo di persone (che ha potuto guadagnare cifre enormi, magari anche con comportamenti non del tutto lineari, evadendo o eludendo il fisco) possa decidere autonomamente, secondo proprie valutazioni, idee, simpatie, ecc. di prendere provvedimenti, proporre soluzioni – che riguardano politiche sociali di interi Paesi – finanziarle, indirizzarle, controllarle?

Queste iniziative di beneficenza hanno un grandissimo effetto positivo e sarebbe un errore non riconoscerlo. Ma chi può garantirci che dietro ad alcune di queste operazioni possano nascondersi interessi di aziende multinazionali o strategie per favorire scelte neoliberiste che alla fine perpetuano e accentuano le disuguaglianze, in un circolo vizioso-virtuoso da cui non si uscirà mai?

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