Il prof. Stefano Bartolini, docente di Economia presso l’Università di Siena, autore del libro “Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-essere a quella del ben-avere”, risponde alle nostre domande, affrontando anche il tema del lavoro da remoto e segnalandone alcuni aspetti positivi.
Classi dirigenti: l’Università ha le sue responsabilità
Domanda: Gli uomini sono esseri sociali e sono portati a prendersi cura del prossimo. Le istituzioni (la scuola in testa) ma anche le aziende tendono a deprimere questa innata attitudine umana, facendo prevalere individualismo, competitività esasperata, arrivismo. Non sarebbe ora di cambiare radicalmente il modo di intendere la leadership in azienda?
Risposta: Io personalmente credo che una buona fetta di responsabilità per questo stato di cose la si debba imputare all’università. Negli atenei italiani gli insegnamenti sono ancora legati al passato. Si tratta di una cultura ormai obsoleta, mutuata da idee provenienti dall’estero, ma decisamente superate in quanto legate a una visione imprenditoriale della gerarchia e del management non più valida. Nelle università americane, pensiamo ad Harvard, si insegna tutt’altro. Quello su cui si pone attenzione è l’impresa intesa come una comunità di individui che collabora insieme, coltiva senso di appartenenza e spirito di collaborazione.
Il lavoro remoto e i suoi possibili vantaggi anche nella riqualificazione dei borghi abbandonati
Domanda: Recentemente, a causa del Covid, il lavoro da remoto ha avuto un forte sviluppo. Se da un certo punto di vista, la soluzione può essere apprezzata anche dai lavoratori: minori spostamenti, più (almeno apparente) libertà di organizzarsi, il tempo del lavoro ha finito per invadere e condizionare pesantemente quello famigliare, privato. Come giudica questa “invasione” di campo?

Risposta: Il lavoro da remoto, oltre che necessario in questi momenti di pandemia, ha delle ricadute positive in quanto evita il congestionamento del traffico nelle città, e il conseguente stress dovuto al trasferimento da parte dei pendolari. Se la presenza obbligatoria sul luogo di lavoro si riduce, questo potrebbe favorire anche il ripopolamento dei borghi di campagna, ora quasi del tutto abbandonati. Con una ricaduta positiva anche per il territorio, attualmente molto vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, che potrebbe essere meglio difeso dai cittadini che tornano ad abitarlo.
Certamente esiste il problema di poter distinguere tra vita lavorativa e vita non lavorativa ma bisogna considerare che questa divisione tra tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla propria vita è una concezione piuttosto recente. In passato, questa separazione non era così netta. Il lavoro si alternava a momenti di relazione, di scambi di idee in comunità, e solo la civiltà industriale ha imposto questa regola. Se anche in questo caso, vi fosse un ritorno al passato non sarebbe sbagliato.
D’altra parte, è anche vero che con il lavoro digitale il rischio è di essere costretti a rimanere sempre connessi, il che non è positivo. In questo caso, si rende necessaria una precisa regolamentazione per evitare abusi.
I limiti dell’ideologia neoliberista
Domanda: Il denaro, oltre una certa soglia, non aumenta la felicità. Eppure la nostra società rincorre sempre questa illusione, spinta dal continuo e ossessivo invito a consumare. Anche la ripresa dopo la pandemia sembra dipenda esclusivamente dalla capacità dei cittadini in quanto (esclusivamente) consumatori. Possibile che non siamo in grado di vedere alternative? Che ne dice?
Risposta: Credo che questa sia più che altro la visione che ci viene imposta da una certa classe dirigente. Le persone non sono troppo condizionate in questo senso. Una ricerca svolta negli anni Novanta chiedeva ai cittadini se avessero preferito avere più soldi in tasca o usufruire di maggiori e più efficienti servizi pubblici. Si divisero a metà. Analoga inchiesta effettuata dopo il Covid, segnala che la percentuale di chi vorrebbe avere più denaro in tasca è scesa al 20%.
Nonostante che per decenni certa propaganda neoliberista abbia criticato e demonizzato il complesso delle strutture pubbliche, la pandemia ha reso evidente il ruolo e l’importanza dello Stato, dell’azione collettiva, della necessità di comportamenti responsabili e solidali che vanno contro l’idea stessa di mercato.
Una risposta a "Stefano Bartolini (Università di Siena): “I limiti della classe dirigente italiana: l’università ha le sue colpe” (Seconda parte)"