La “maledizione del vincitore” e l’asta della coscienza

In un articolo su “Il Sole 24 Ore”, Paolo Legrenzi, Professore emerito di psicologia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e Presidente del comitato scientifico di X-ITE, centro di ricerca LUISS, riflette sul concetto della “maledizione del vincitore” (winner’s curse), assimilando tale comportamento con il rapporto che le persone hanno con la propria coscienza.

Paolo Legrenzi

Trovo il paragone molto interessante e stimolante. Ma prima chiariamo i termini. La “maledizione del vincitore” è il sentimento che una persona prova dopo un’asta nella quale si è aggiudicato  un certo oggetto, e cioè un misto tra la soddisfazione per essere riuscito nell’impresa di strappare quell’oggetto ad altri che lo volevano e, allo stesso tempo, il sospetto di avere pagato più di quanto in realtà esso valeva.

E’ – in estrema semplificazione – uno dei concetti sui quali hanno riflettuto i recenti Premi Nobel Paul Milgrom e Robert Wilson.

Secondo Legrenzi, gli uomini nei loro comportamenti, quando sono mossi dalla necessità di soddisfare particolari desideri, si trovano di fronte a un problema simile a quello di chi partecipa a un’asta. Vale a dire, cercare di ottenere qualcosa alla quale tengono molto, essendo disposti a rischiare parecchio, non tanto in termini di denaro, quanto dei propri principi etici o, anche solamente, delle proprie convinzioni.

Seguiamo gli esempi che fa Joseph LeDoux, autore del libro “Lunga storia di noi stessi. Come il cervello è diventato cosciente”, Raffaello Cortina, 2020, ripresi da Legrenzi:

      1. Siamo in dieta ma facciamo egualmente un pasto ipercalorico.
      2. Ci piace nuotare e affrontiamo il mare anche se ci sono onde alte e potrebbe essere pericoloso.
      3. Abbiamo giurato fedeltà alla moglie ma ci lasciamo tentare da un’avventura extra coniugale.
      4. Pensiamo che sia sbagliato drogarsi ma poi accettiamo di farlo, rischiando la dipendenza.

Naturalmente, per ognuna di queste intemperanze, abbiamo pronta la scusa giusta.

      1. La dieta la ricomincio domani.
      2. Ho fiducia nelle mie capacità natatorie.
      3. Mia moglie non si accorgerà di nulla.
      4. Smetto quando voglio.

Se l“’azzardo” ci è andato bene, vale a dire:

      1. Abbiamo mangiato con gusto fino a strafogarci alla faccia della dieta.
      2. Abbiamo affrontato senza problema i marosi.
      3. La scappatella con l’amica ci ha soddisfatto e la moglie non se n’e accorta.
      4. Lo sballo non ha lasciato, almeno in apparenza, alcuno strascico, è molto facile far tacere i nostri sensi di colpa e soffocare la coscienza perché in fondo nessuno ne è rimasto coinvolto.
Joseph LeDoux

Certamente, la nostra autostima un po’ è vacillata ma il fatto di averla fatta franca probabilmente supera di gran lunga il senso di colpa che potremmo provare. E, quindi,  in questo caso il sentimento prevalente non è la maledizione del vincitore ma l’orgoglio (per quanto meschino) del vincitore.

In altri termini, se vinciamo l’asta della coscienza ma non ne paghiamo alcuna conseguenza, è probabile che ripeteremo i nostri errori, ritenendoci impuni o, per lo meno, liberi di riprovarci. E in questo caso il nostro senso di colpa diminuirà sempre di più fino quasi a scomparire, portandoci magari ad avere comportamenti sempre più al limite e pericolosi per noi e per gli altri.

Se, invece, tornando agli esempi precedenti, facciamo indigestione e ci portano a fare una lavanda gastrica. Se veniamo ripescati mezzo affogati nel mare. Se nostra moglie scopre la tresca e chiede il divorzio. Se ci accorgiamo che non possiamo più fare a meno della droga e diventiamo dipendenti, allora abbiamo pagato davvero un prezzo troppo alto per l’azzardo che abbiamo fatto. Ed è assai probabile che si attivi il senso di colpa (anche se non mancheranno le giustificazioni del caso, per non incrinare la nostra autostima) e che in futuro saremo più prudenti. Ma si tratta pur sempre di constatazioni ex post.

Concordo con il prof. Legrenzi: è vero che, così pensando, l’uomo è diventato capace di forme estreme di cattiveria (più raramente anche di forme estreme di bontà). Ma, al contrario dell’animale nel cui mondo sono assenti questi comportamenti, deve confrontarsi, oltre che con la sua coscienza, anche con gli altri e, soprattutto, con la giustizia.

Paolo Legrenzi ha scritto molti libri. Tra i più importanti, citiamo, “Psicologia generale. Dal cervello alla mente”, insieme a Costanza Papagno e Carlo Umiltà, Il Mulino, 2012.

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