Filiere e sfruttamento. Continuiamo a far finta di non sapere

I diritti umani sono dei principi importanti, universali, che nessuno può disconoscere. Come il diritto alla vita, il rispetto dei lavoratori, ecc. E chi si rendesse responsabile di violazione di questi diritti subirebbe un grave vulnus alla sua reputazione, sia che si tratti di un individuo, di una impresa o di un governo.

Eppure, quante volte, facciamo finta di non sapere (o, in buona fede, non lo sappiamo) che si stanno violando i diritti umani!

Compriamo una camicia o un jeans che è cucito da bambini costretti a lavorare per più di 12 ore al giorno.

Il cellulare che usiamo contiene materiali estratti da miniere di paesi africani in cui i lavoratori sono praticamente schiavi.

Trasparenza vo cercando

I consumatori non vogliono essere complici inconsapevoli dello sfruttamento (spesso della manodopera di minori). Ma per non essere complici i consumatori hanno bisogno di informazioni e indicazioni precise che garantiscano la piena trasparenza dei diritti umani nelle diverse filiere.

Solo così i consumatori possono esercitare una scelta responsabile che la maggior parte ha intenzione di compiere.

Alcune ricerche confermano che 3 italiani su 4 sono disponibili ad acquistare un prodotto che non provenga dallo sfruttamento dei lavoratori, indipendentemente dal prezzo.

Resta un italiano su 4 che invece per la sua scelta d’acquisto fa riferimento al prezzo più basso e ignora (o fa finta di ignorare) la provenienza di ciò che acquista (magari condizionato dal brand di cui si fida) e come è stato realizzato (tramite sfruttamento di forza lavoro minorile).

Non demonizziamo quell’italiano su 4 che si comporta così, perché spesso non è un aguzzino e non è tutta colpa sua; anche lui può essere costretto all’acquisto a prezzo basso a causa delle sue difficili condizioni economiche. Non solo.

In certi casi, lo fa di proposito perché non si fida molto delle aziende che garantiscono che i loro prodotti siano stati realizzati in modo lineare, e nel rispetto dei diritti umani. E’ portato a credere, infatti, che si tratti solo di una trovata pubblicitaria, una bella vetrina per migliorare e ripulire l’immagine dell’azienda ma che in realtà le cose non stiano come sembrano. Chi glielo può garantire, in realtà? (E certi scandali in questo ambito non sembrano dargli torto!).

D’altra parte, visto che la filiera spesso è complessa e le aziende si avvalgono di fornitori che, a loro volta, subappaltano i lavori, la trasparenza delle informazioni dovrà essere assolutamente credibile: partendo dall’origine e seguendo passo dopo passo il percorso che il prodotto compie per arrivare al consumatore. Quante imprese lo stanno facendo?

Sono sufficienti i meccanismi ora in uso da parte delle aziende che garantiscono l’osservanza dei codici di condotta da parte dei fornitori? Sono utili a far emergere le cause delle violazioni dei diritti umani oppure far luce su questo “sottobosco” di irregolarità è quasi impossibile?

Basteranno le leggi?

Il Parlamento europeo chiede la realizzazione di una nuova legge in modo da rendere le imprese responsabili di atti contro i diritti umani e gli standard ambientali all’interno e lungo l’intera catena di valore.

Questi i tre parametri:

  • Divieto di importazione di prodotti legati a gravi violazioni dei diritti umani come il lavoro forzato o minorile
  • Le regole da applicarsi alle imprese che operano nel mercato unico, comprese quelle stabilite al di fuori dell’UE
  • Sanzioni per il mancato rispetto e supporto legale per le vittime nei paesi terzi

In tal modo, le aziende saranno ritenute responsabili (e quindi tenute a rispondere) degli effetti negativi delle proprie decisioni sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance che causano o contribuiscono a creare nella loro catena di valore. E le vittime dovranno avere accesso a mezzi di ricorso.

Questa proposta di legge dovrebbe essere presentata entro la fine dell’anno. Basterà?

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