
Spesso sentiamo dire che Israele è una democrazia. L’unica in Medio Oriente. Ma è proprio così? Una democrazia dovrebbe essere tollerante, soprattutto nei confronti delle minoranze che vivono al suo interno. E questo non sembra che accada in quel Paese. Lo sostiene anche David Grossman, famoso narratore ebreo, in un suo recente libro che riporta alcuni suoi saggi e discorsi (“Sparare a una colomba”, Mondadori, 2021).
Lo scrittore cerca di spiegare l’atteggiamento della politica di Israele, per cui la violenza, inaudita e assurda, subìta nel passato da questo popolo ad opera del nazismo, si è tradotta, con la costituzione dello Stato israeliano, nella pulsione a restituirla, a occupare i territori e a sospendere i diritti democratici nei confronti di una popolazione parzialmente assoggettata.
Secondo Grossman, Israele è diventata allo stesso tempo un’isola di efficienza, basata sulla forza organizzata delle sue istituzioni, sulla prontezza difensiva dei suoi apparati militari, ma anche sulla nevrosi e sulla paura.
La nazione ebraica, secondo Grossman, ha perso la capacità di reiventarsi, “quel coraggio, quell’iniziativa, quella speranza di farcela a dispetto di tutto”. Hanno prevalso, invece che il desiderio di pace e libertà, certi automatismi reattivi, una fossilizzazione delle menti, l’incapacità di uscire da meccanismi che portano alla disumanizzazione dei rapporti.
Forse, l’unica possibilità di uscire da queste idee totalitariste, di cui si è stati succubi, è quella di contrastare la loro reiterazione sempre più sottile e pervasiva che inquina i cuori, di aprirsi alla compassione e alla sintonia con gli altri, di superare il destino di vittime che incombe pesantemente e che rappresenta una forma di paralisi esistenziale.