Yuri Berio Rapetti ha coniato il termine teocnocrazia per significare l’idolatria della tecnica, promossa dai fautori profetici di uno sviluppo ipertecnologico (tra cui il postumanismo e il transumanismo). Secondo l’autore bisogna mettere in guardia verso una tendenza sotterranea e pervasiva nella nostra società, in cui la tecnica ha investito e modificato quasi tutti gli ambiti dell’esperienza umana.
No al lavoratore come capitale umano!
La razionalità strumentale e il perfettismo tecnocratico impoveriscono gravemente la portata significante dei termini, in particolare quella di essere umano o persona. È ormai entrato in uso in ambito economico un ricorso molto discutibile al termine di ‘capitale umano‘.
Si percepisce in questi fenomeni l’egemonia dell’universo semantico tecno-capitalistico, che occulta altri universi di senso e restringe la pregnanza della persona. (…).
Alla detronizzazione tecnologica dell’uomo è arduo resistere senza fare perno su una costellazione di valori (…), tolti i quali diventa fatale la nascita dell’attuale teocnocrazia, ovvero della divinizzazione della tecnica. (…)
Il telefonino: e non conosciamo più la differenza tra persona e cosa

Se lo smartphone non ha sguardo e non vede il mondo, guardarlo compulsivamente opera uno spostamento del centro di comprensione dell’umano verso il macchinismo e l’inorganico, inadatto ad evitare che la persona si rimpicciolisca, diventi monca e senza un criterio di ordinamento e di comportamento nella vita (…).
Il nesso che si istituisce tra (perdita dei valori), meccanizzazione dell’umano e (riduzione dell’uomo a oggetto passivo) produce la nuova antropologia secolare, spesso un compiuto naturalismo in cui l’essere umano è vita che non (va) oltre la materia animata.
Saremmo allora alla società dei corpi in cui si perde la differenza tra persona e cosa, e si introduce più o meno di nascosto una sorta di oggetto intermedio: il corpo, che non è più il corpo individuale, ma il corpo senza ulteriori specificazioni.
Taluni autori italiani, sulla scia del decostruzionismo francese radicale, vanno in questa direzione nell’intento di decostruire il concetto di persona.
Dobbiamo essere vigili per non cedere all’idea che solo dalla tecnica provenga a noi la salvezza. Non abbiamo garanzie che un intervento antropotecnico profondo sull’essere umano non conduca a danni superiori a quelli apportati da tempo dal dominio umano sulla natura.
La neo religione capitalistica del profitto
L’uomo (nella tecnica) cerca la salvezza, ed esterna in essa il culto tanto del prodotto tecnologico quanto quello per il principio tecnico che si realizza variamente nei prodotti. Forse tale religione ha in fin dei conti un solo dogma: tutto può essere prodotto e commerciato. La connessione profonda tra economia e tecnica nell’ideologia capitalistica è ben delineata dall’autore nelle pagine sulla neoreligione capitalistica del profitto, sull’accumulo illimitato dei denaro, considerato innaturale da Aristotele, perché il denaro che produce altro denaro diventa un fine in sé.
«La religione del capitalismo si trasforma così nella religione della tecnica, o meglio si fonde con essa in un’unica e ibrida forma di culto e ritualità di cui il lato economico e quello tecnologico non sono che le due facce di una stessa medaglia e, come aveva già intuito Benjamin, il culto della volontà di potenza inverata ne è la radice e la fonte più profonda».
Ci scusiamo con l’autore per una certa rielaborazione del suo testo, sempre però rispettosa del messaggio che sta alla base (da Agorà, 15 gennaio 2022)