Il dilemma Collingridge propone che ci siano due percorsi verso l’innovazione. Uno di questi è analizzare ogni innovazione, cercando di anticiparne le possibili conseguenze negative. In questo modo si possono evitare grandi mali.
Quali sono le tentazioni, qual è “il veleno delle passioni” in cui si radica il male? Il potere, il possesso. Da queste seducenti attrattive parte l’azione maligna dell’uomo. L’uomo cede quando sente dentro di sé questo messaggio, subdolo ma da cui è difficile difendersi: “Sfrutta la tua posizione per soddisfare i tuoi bisogni personali e accrescere il tuo potere. Non lasciar perdere l’opportunità, l’occasione, pensa al tuo profitto”.
Non è del tutto vero che la gente non ama chiedere scusa. Lo fa e anche spesso, tanto è vero che è diventato un modo di dire, un cliché, che nella maggioranza dei casi non soddisfa per nulla la persona che in qualche è modo è stata danneggiata. Anzi.
Quando viene a mancare l’attenzione, diamo la colpa alla vita frenetica e stressante che facciamo, ai tempi sempre più convulsi del nostro lavoro, che ci allontana dagli obiettivi che abbiamo in mente e fa calare sempre di più la nostra concentrazione. E’ un processo molto pericoloso della cui gravità ci rendiamo conto, spesso in maniera drammatica, solo quando gli errori che facciamo aumentano, e l’attività che svolgiamo ci pesa sempre di più.
Dalla prefazione al libro in oggetto di Roberto Diodato, stralciamo alcuni brani significativi.
“…la costituzione stessa della forma d’epoca contemporanea, effetto di trame storico-culturali particolarmente complesse (…) ha prodotto un semplice risultato: siamo diventati una specie nuova, almeno per quanto oggi è di massa: l’uomo consumatore, e come tale abbiamo depredato senza remore l’ambiente e sfruttato senza pietà i più deboli, cercando in tutti i modi, spesso raffinati e intelligenti, di rimuovere e anestetizzare il nostro senso di colpa.”
Tra gioia effimera e insoddisfazione felice
Jean Soldini
“Concentrati su noi stessi, sui nostri desideri, abbiamo ridotto il nostro personale sentire, sentire noi stessi, il mondo, gli altri, a non essere altro che la ripetizione del già sentito, di un immaginare, gustare, provare emozioni e sentimenti costruito altrove da dispositivi potenti, da pervasivi intrecci tra sapere e potere che hanno come obiettivo fondamentale il profitto, e il potere in funzione del profitto, per raggiungere il quale producono in noi una gioia insieme costante ed effimera, una perenne insoddisfazione felice.”
Riflettiamo su una frase molto importante di Francis Scott Fitzgerald, “essere capaci di vedere che le cose sono senza speranza, e tuttavia essere decisi a cambiarle”.
La povertà non è una banale questione di soldi. Ma di politiche sbagliate che si fanno nel mondo, di un sistema che produce disuguaglianze assurde, considerato che l’1% della popolazione mondiale possiede ormai la metà della ricchezza del pianeta.
A gennaio è uscito anche in Italia il libro “Tu sei il potere”, di Julie Battilana e Tiziana Casciaro per Rizzoli. La prima insegna Business Administration alla Harvard Business School, la seconda Organizational Behavior e HR Management alla Rotman School di Toronto.
Quando una frase diventa un “clichè”? Anzitutto, chiariamo il significato del termine cliché. Cliché è una parola che arriva dal francese e descrive un processo di stampa attraverso il quale una matrice di metallo inchiostrata riproduce sulla carta un numero infinito di copie tutte con lo stesso identico soggetto.
Quando cominci a scrivere qualcosa, anche su un argomento che ritieni di conoscere bene, ti accorgi che non sai proprio tutto quello che credevi di sapere e che qualcosa ti sfugge. Mettere le idee in parole scritte è una dura prova. Le prime parole che ti vengono in mente difficilmente sono quelle giuste, devi riscrivere le frasi una, due volte e anche di più perché rispondano a quello che avevi in mente. Ma ciononostante le idee non saranno mai esattamente come le avevi pensate e crederai sempre che avresti potuto aggiungere qualcos’altro o scriverlo in maniera diversa.