
Insomma, sembra che non siamo più capaci di guardare al futuro. E questa constatazione all’inizio di un nuovo anno non è poi così tranquillizzante.
Dalla “Lettura” del Corriere del 4 dicembre scorso leggiamo una citazione che riguarda il famoso libro di Aldous Huxley “Il mondo nuovo” che viene descritto “come una specie di incubo totalitario”. Ma ci si chiede anche (è Bruno, il protagonista del libro “Le particelle elementari” di Michel Houellebecq, che lo fa) “se non sia tutta una ipocrisia”.
Perché se il mondo nuovo è controllo genetico, lotta contro l’invecchiamento, ottimizzazione del tempo libero, e tutte le altre illusorie libertà che vogliamo raggiungere, allora sono proprio i nostri desideri che bisogna temere più di tutto nel futuro.
Ecco perché i romanzi del presente si concentrano più sull’elaborazione del passato che sulla immaginazione del futuro. Quindi chi recensisce gli ultimi romanzi di Giordano, Missiroli e il già citato Houellebecq, arriva a definire questa operazione (drammatica e vana, per me) intopia. E i loro romanzi, romanzi “intopici”. Cioè concentrati sui luoghi interiori, capitali del dolore che proviamo. Modi di vivere il presente, modi diversi di avere paura, modi per tracciare una mappa che ci aiuti a riemergere dalla devastazione…
Per salvarci, forse, basterebbe un buon “topicida”!