Marchionne: fu vera gloria?

La litote del titolo del libro di Francesco Varanini, “Marchionne non è il migliore dei manager possibili”, (Guerini Next, €18,50) è anche un modo per evitare che chi legge, di fronte alla figura di Sergio Marchionne, di per sé parecchio divisiva, possa essere portato a schierarsi pregiudizialmente in polemica o in difesa del manager, senza affrontare una analisi il più possibile obiettiva del suo operato, considerato sia il tempo trascorso dalla sua scomparsa, sia gli effetti che ancora oggi persistono in relazione a certe sue scelte.

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Il capitalismo e la roba

Rileggere Giovanni Verga, a cento anni dalla sua morte, e la famosa novella “La roba”, con protagonista il vecchio Mazzarò, ricchissimo e avaro, ormai prossimo alla morte, è importante. Perché ci può insegnare qualcosa anche riguardo al capitalismo di oggi, all’ incapacità di questo sistema di accumulo di ricchezza di lasciare a chi viene dopo di noi, un pianeta sano anziché, come sta accadendo, una terra devastata dalle guerre, ferita dalla ricerca ossessionante, illimitata e sfrenata del suo sfruttamento.

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Lavoro, profitto e denaro

Massimo Recalcati (“La Stampa”, 5 maggio), mette in guardia dal lavoro concepito come «una vera e propria idolatria, quando assume i caratteri di una passione smodata finalizzata non tanto all’esercizio della sua attività, ma al profitto che essa permette di raggiungere. Lavorare, in altri termini, non possiede più un valore in sé, ma solo per quello che consente di realizzare in termini di profitto. In questi casi il lavoro può assumere la forma di una paradossale dipendenza patologica». E, prosegue Recalcati, «come sappiamo bene, la passione per il profitto non conosce limiti. La protervia che sospinge gli uomini a farsi padroni della terra avvelena il mondo»


Umberto Galimberti, dal libro “Dialogo sul lavoro e la felicità”: Oggi viviamo in un mondo basato sul mito del successo e dove solo il possesso di denaro è basilare per consentire una vita felice. Il denaro è il generatore simbolico di tutti i valori. Non sappiamo più che cosa sia giusto o sbagliato, che cosa ci rende felici o infelici, sappiamo solo ciò che è utile e ciò che ci fa guadagnare. Per guadagnare denaro bisogna lavorare o, ancor meglio, far lavorare gli altri e guadagnare sul lavoro altrui. L’uomo non è considerato in quanto tale, ma solo come consumatore e produttore.


Luigino Bruni (“Avvenire”): Alle grandi imprese di oggi non bastano i profitti: vogliono l’adorazione della statua, la devozione al marchio, la genuflessione di fronte alla merce, la fedeltà del consumatore. Perché se il capitalismo fosse soltanto una faccenda di soldi non ci avrebbe occupato da tempo il tempio dell’anima.


Aristotele dice che il denaro non è un bene, ma solo il simbolo di un bene e i simboli non sono ricchezza reale, ma solo convenzionale.

Capitalismo: istigazione al suicidio?

L’espropriazione esistenziale di cui parla lo studioso Vittorio Pelligra non si riverbera solo sul lavoro ma anche in generale sulla vita delle persone. Sempre più frequenti sono infatti le cosiddette “morti per disperazione”, fenomeno drammatico, segnalato negli Usa, ma presente anche in Europa e in Italia. Per morti per disperazione si intendono quelle dovute a suicidio, overdose di droga e alcolismo aumentate drammaticamente.

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Gli intrecci tra potere e sapere in funzione di profitto

Jean Soldini, Il cuore dell’essere, la grazia delle attrazioni. Tentativi di postantropocentrismo, Mimesis Edizioni, 30€

Dalla prefazione al libro in oggetto di Roberto Diodato, stralciamo alcuni brani significativi.

“…la costituzione stessa della forma d’epoca contemporanea, effetto di trame storico-culturali particolarmente complesse (…) ha prodotto un semplice risultato: siamo diventati una specie nuova, almeno per quanto oggi è di massa: l’uomo consumatore, e come tale abbiamo depredato senza remore l’ambiente e sfruttato senza pietà i più deboli, cercando in tutti i modi, spesso raffinati e intelligenti, di rimuovere e anestetizzare il nostro senso di colpa.”

Tra gioia effimera e insoddisfazione felice

Jean Soldini

“Concentrati su noi stessi, sui nostri desideri, abbiamo ridotto il nostro personale sentire, sentire noi stessi, il mondo, gli altri, a non essere altro che la ripetizione del già sentito, di un immaginare, gustare, provare emozioni e sentimenti costruito altrove da dispositivi potenti, da pervasivi intrecci tra sapere e potere che hanno come obiettivo fondamentale il profitto, e il potere in funzione del profitto, per raggiungere il quale producono in noi una gioia insieme costante ed effimera, una perenne insoddisfazione felice.”

Riflettiamo su una frase molto importante di Francis Scott Fitzgerald, “essere capaci di vedere che le cose sono senza speranza, e tuttavia essere decisi a cambiarle”.

Scambio di opinioni sulla concorrenza atomistica con il prof. Paolo Legrenzi

Ci sembra corretto e onesto rendere partecipi coloro che seguono il blog anche degli scambi “privati” di opinione che abbiamo con i nostri corrispondenti. Abbiamo avuto uno scambio di pareri con Paolo Legrenzi, Professore emerito di psicologia dell’Università Ca’ Foscari – Venezia e Presidente del comitato scientifico di X-ITE, centro di ricerca LUISS.

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Il capitalismo liberale

Il capitalismo… “rifletterebbe alla perfezione la nostra natura innata, vale a dire il desiderio di commerciare, di guadagnare, di migliorare la nostra condizione economica e di condurre una vita più comoda.

Ma non credo, al di là di alcune funzioni primarie, che sia corretto parlare di desideri innati come se esistessero indipendentemente dalle società in cui viviamo. Molti di questi desideri sono il prodotto della socializzazione all’interno delle nostre società, e in questo caso all’interno delle società capitaliste, che sono le uniche esistenti

…il capitalismo liberale presenta molti noti vantaggi, il più importante dei quali è che la democrazia e lo Stato di diritto sono valori in quanto tali; insieme, concorrono a incoraggiare uno sviluppo economico più rapido, promuovendo l’innovazione e consentendo la mobilità sociale, e offrono così a tutti possibilità di successo più o meno simili.

Il venir meno di alcuni aspetti essenziali di questo sistema di valori impliciti, ossia un movimento verso la creazione di un’alta borghesia che si autoalimenta e la polarizzazione tra le élites e il resto della popolazione, rappresenta la minaccia più importante per la vitalità a lungo termine del capitalismo liberale.

Questa minaccia è un pericolo sia per la sopravvivenza del sistema stesso sia per l’attrattività generale del modello per il resto del mondo”.

(da: Branko Milanovich, Capitalismo contro Capitalismo”, Laterza Editore, Bari 2020)

La crisi del liber(al)ismo come ideologia vincente

Lo statalismo sul continente europeo e l’antropologia egoistica del liberalismo in vista di un individualismo metodologico non ci fanno accostare al bene comune. L’attuale assetto liberal-democratico ha realizzato un compromesso tra il mercato (momento egoistico) e lo Stato (momento collettivo con l’obiettivo dell’uguaglianza e della pari opportunità) che, però, nei nostri giorni rivela crescenti fallimenti irreversibili nell’Unione Europea.

Ci preme di aggiungere due spiegazioni:

a) alla connotazione del mercato: il capitalismo liberista si è distaccato notevolmente dalle origini che lo hanno ideato e ispirato, cioè dall’etica protestante. Riguardo all’egoismo si deve notare che il liberalismo moderno che si è nutrito delle idee del diritto naturale illuminista, che a sua volta fonda le radici nella tradizione greco-romano-giudaico-cristiana, si è pervertito nel liberismo “drogato”. Quest’ultimo oramai impossibilita il dispiegarsi della stessa libertà dotata di senso e mostra fenomeni caotici e autodistruttivi. Rispetto alla componente
b) dell’ uguaglianza garantita dallo Stato giova notare che il progetto del welfare state quasi unanimemente è già considerato fallito e non se ne è ancora trovata un’alternativa valida e percorribile.

(da: Jànos Frivaldszky, “L’antropologia e i principi del buon governo”, Università Cattolica Pázmány Péter, Budapest)