E’ interessante il contributo di Daniel Innerarity che ha pubblicato il libro “Una teoria della democrazia complessa” (Castelvecchi, pagg. 384, 29 euro) che contesta ai politici il fatto di ragionare come 300 anni fa “in base agli stessi concetti di potere, sovranità, democrazia, rappresentatività” di quell’epoca, e si chiede quanto tali concetti “siano ancora appropriati per organizzare la convivenza nelle società del XXI secolo”.
La meritocrazia è il principale tentativo di legittimazione etica della disuguaglianza. Da un intervento di Luigino Bruni su Avvenire del 23 ottobre 2022.
Colin Crouch (“Combattere la post democrazia”) ha ammesso tutte le difficoltà del caso nel descrivere compiutamente quella fase involutiva della democrazia che, secondo la sua analisi, stiamo vivendo, finendo con il rinunciare a darne una definizione precisa ma indicando solo un percorso allarmante di progressiva entropia della sovranità popolare, nella quale “i cittadini perdono effettivamente ogni possibilità di tradurre le loro richieste in azione politica”, pur conservando almeno formalmente la piena titolarità dei diritti elettorali.
Murray Edelmann, nell’analisi del comportamento politico dell’homo symbolicus, arriva ad affermare che il cittadino non agisce in seguito a razionali valutazioni di eventi percepiti oggettivamente, ma risponde emotivamente a riduzioni soggettive di senso operate dal linguaggio simbolico e metaforico, cui ha accesso.
In questo senso la metafora costituisce la stessa realtà politica nella quale finisce per vivere ed agire il cittadino.
Se esiste solo l’individuo si rischia di far naufragare la democrazia. Da un lucido intervento di Vittorio Possenti tratto dal suo saggio Alla ricerca della natura umana (e della persona):
Romano Guardini nel suo saggio L’opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto vivente, pp. 178-179 riflette se sia nato prima l’uovo o la gallina (pardon, l’individuo o la società). Il suo pensiero sembra piuttosto interessante. Eccovi uno stralcio significativo:
Marina Garcés ha scritto un bel libro, intitolato “Scuola di apprendisti” edizioni Nutrimenti, 2022. Tra l’altro, la filosofa spagnola sostiene – cosa quasi ovvia – che “Non esiste un sapere non appreso, gli esseri umani devono sempre apprendere, anche a vivere, sempre che si possa dire che impariamo davvero a farlo. Apprendere non significa accumulare, possedere o incorporare conoscenze. È un’attività relazionale”.
La democrazia è una forma di gestione dello Stato che è stata inventata dagli Ateniesi. Ma a quella democrazia non partecipavano tutti. Erano esclusi, come sappiamo, donne e schiavi. La Dichiarazione di indipendenza americana che sanciva pomposamente che “tutti gli uomini sono creati uguali” non valeva né per le donne, né per gli africani tratti in schiavitù, né per le popolazioni indigene.
Da sinistra a destra: Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates, Bernard Arnault e Warren Buffett
In questi tempi di guerra, cerchiamo di tenere ben distinti i concetti di democrazia e di autoritarismo. Ma, qualche volta, alla gente comune non riesce facile capire, ad esempio, quale sia la differenza tra i tycoon (magnati) americani e gli oligarchi russi.
Vogliamo citare un brano da un libro di Frédéric Beigbeder, intitolato “Lire 26.900”, edito da Feltrinelli, che sembra calzare perfettamente a certe atmosfere che si sono vissute ultimamente nel nostro (e anche in altri) Paesi e che riguardano il senso della democrazia.
Spesso sentiamo dire che Israele è una democrazia. L’unica in Medio Oriente. Ma è proprio così? Una democrazia dovrebbe essere tollerante, soprattutto nei confronti delle minoranze che vivono al suo interno. E questo non sembra che accada in quel Paese. Lo sostiene anche David Grossman, famoso narratore ebreo, in un suo recente libro che riporta alcuni suoi saggi e discorsi (“Sparare a una colomba”, Mondadori, 2021).