Davvero ormai prevale l’idea sofista?

Ippocrate

Protagora (Ippocrate, prologo) sosteneva (secondo noi sbagliando) che la vita è una gara e i giovani hanno il dovere di tentare di arrivare primi. E non devono farsi frenare da strane idee come ad esempio quella della giustizia. La giustizia non esiste. La giustizia è apparenza. L’importante non è essere giusti, ma apparire tali di fronte agli altri e, naturalmente, di fronte ai giudici.

Lo stesso vale per la cultura.

Basta apparire colti, recitare bene questa parte. Nessuno ha voglia di arricchirsi attraverso la cultura dell’altro, proprio perché la reputa una sovrastruttura fittizia, una maschera, un ruolo che non esprime una realtà autentica ma un modo di apparire.

Protagora

Viviamo in un’epoca dove ogni persona vive la propria individualità non cercando coerenza tra ciò che è, ciò che conosce, e ciò che fa. Quello che conta è prevalere sugli altri, aspirare al successo personale, sopra e contro gli altri.

E’ la vittoria, drammatica e ottusa, dell’individualismo.

Socrate lo dice chiaramente ad Ippocrate il quale crede che Protagora potrà dargli la sapienza: «Farà sapiente anche te se, dandogli quattrini, lo persuaderai»

Non è mica cambiato tanto da quei tempi…

Colpo o lampo, sempre di genio si tratta

Anche se non crediamo di essere molto creativi, quasi tutti nella vita abbiamo sperimentato, una o più volte, quello che generalmente chiamiamo “colpo di genio”, cioè un’idea nuova, che all’improvviso sembra risolvere un problema o addirittura propone una prospettiva diversa, un punto di vista inatteso ed esaltante (lo si chiama anche “lampo di genio”), capace di creare una piacevole reazione fisica nel nostro corpo.

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La democrazia oltre la demagogia e la propaganda

La democrazia è una forma di gestione dello Stato che è stata inventata dagli Ateniesi. Ma a quella democrazia non partecipavano tutti. Erano esclusi, come sappiamo, donne e schiavi. La Dichiarazione di indipendenza americana che sanciva pomposamente che “tutti gli uomini sono creati uguali” non valeva né per le donne, né per gli africani tratti in schiavitù, né per le popolazioni indigene.

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Le quattro catene di Giulio Guarini

Giulio Guarini, economista dell’Università della Tuscia, sostiene che il “divorzio della libertà economica dalle libertà civili, sociali e politiche fabbrica catene” e ne individua almeno 4:

  1. La “catena dell’individualismo sfrenato”, basato sulla competizione e sul disprezzo di chi resta indietro perché “se lo è meritato”.
  2. Quella del “sottocosto” . “Da una parte, il sistema produttivo è sempre più governato da una finanza globalizzata e speculativa che esige guadagni immediati e detta alle imprese strategie di breve termine orientate a una competizione verso il basso, incentrate sulla riduzione del costo del lavoro e sempre meno sugli investimenti nella qualità e nella valorizzazione del capitale umano. Dall’altra, i consumatori di fronte alla riduzione del potere d’acquisto reagiscono andando alla ricerca del minor costo che quasi mai corrisponde al prezzo giusto”.
  3. A questa “alleanza di irresponsabilità” si unisce la “catena della precarietà”, quando la flessibilità diviene lo strumento per ridurre il potere contrattuale dei lavoratori e liberare il capitale finanziario dai vincoli sociali e ambientali.
  4. Infine, la catena dell’austerità: i tagli indiscriminati alla spesa pubblica diventano pesi insostenibili sulle spalle dei settori più fragili.

Una chiosa finale, non di una rivoluzionaria ma della teologa svizzera Ina Praetorius, “l’economia è cura, l’opposto del modello neoliberista dominante che mette il profitto al di sopra di tutto. E, in questo modo, genera le condizioni per lo sfruttamento”.

La selezione avversa. Quando un’azienda elimina le risorse migliori

Come è possibile che un’azienda arrivi ad eliminare le proprie risorse migliori? Cioè i collaboratori che valgono di più o hanno maggiori potenzialità? Sembra un atteggiamento assurdo e controproducente ma, purtroppo, capita e probabilmente molti di coloro che ci leggono possono avere avuto esperienze simili.

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Global Inclusion: nessuno escluso! Per contare tutti bisogna conta… minare

Ecco alcune considerazioni, tratte dal sito “HR on Line”, diretto da Paolo Iacci*, che vanno lette, approfondite e condivise il più possibile perché colgono in pieno aspetti fondamentali del cambiamento della società. Un cambiamento ormai irrinunciabile.

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💡 Rivendicare i diritti, non dal punto di vista individualistico

La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo «occorre prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze».

Una allegra superficialità

In questa linea, torno a rilevare con dolore che «già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi». Volgiamoci a promuovere il bene, per noi stessi e per tutta l’umanità, e così cammineremo insieme verso una crescita genuina e integrale. Ogni società ha bisogno di assicurare la trasmissione dei valori, perché se questo non succede si trasmettono l’egoismo, la violenza, la corruzione nelle sue varie forme, l’indifferenza e, in definitiva, una vita chiusa ad ogni trascendenza e trincerata negli interessi individuali.

Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari».

💡 Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile

Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite. Oggi siamo di fronte alla grande occasione  di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto; anche se tante volte ci troviamo immersi e condannati a ripetere la logica dei violenti, di quanti nutrono ambizioni solo per sé stessi e diffondono la confusione e la menzogna. Che altri continuino a pensare alla politica o all’economia per i loro giochi di potere. Alimentiamo ciò che è buono e mettiamoci al servizio del bene.

L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli

La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune.

💡 I media digitali inducono alla dipendenza

«I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche». C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità.

Nel mondo digitale operano giganteschi interessi economici

Non va ignorato che «operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio».

Demolire l’autostima di qualcuno è un modo facile di dominarlo. Dietro le tendenze che mirano ad omogeneizzare il mondo, affiorano interessi di potere che beneficiano della scarsa stima di sé, nel momento stesso in cui, attraverso i media e le reti, si cerca di creare una nuova cultura al servizio dei più potenti. Da ciò traggono vantaggio l’opportunismo della speculazione finanziaria e lo sfruttamento, dove i poveri sono sempre quelli che perdono. D’altra parte, ignorare la cultura di un popolo fa sì che molti leader politici non siano in grado di promuovere un progetto efficace che possa essere liberamente assunto e sostenuto nel tempo.