Le quattro catene di Giulio Guarini

Giulio Guarini, economista dell’Università della Tuscia, sostiene che il “divorzio della libertà economica dalle libertà civili, sociali e politiche fabbrica catene” e ne individua almeno 4:

  1. La “catena dell’individualismo sfrenato”, basato sulla competizione e sul disprezzo di chi resta indietro perché “se lo è meritato”.
  2. Quella del “sottocosto” . “Da una parte, il sistema produttivo è sempre più governato da una finanza globalizzata e speculativa che esige guadagni immediati e detta alle imprese strategie di breve termine orientate a una competizione verso il basso, incentrate sulla riduzione del costo del lavoro e sempre meno sugli investimenti nella qualità e nella valorizzazione del capitale umano. Dall’altra, i consumatori di fronte alla riduzione del potere d’acquisto reagiscono andando alla ricerca del minor costo che quasi mai corrisponde al prezzo giusto”.
  3. A questa “alleanza di irresponsabilità” si unisce la “catena della precarietà”, quando la flessibilità diviene lo strumento per ridurre il potere contrattuale dei lavoratori e liberare il capitale finanziario dai vincoli sociali e ambientali.
  4. Infine, la catena dell’austerità: i tagli indiscriminati alla spesa pubblica diventano pesi insostenibili sulle spalle dei settori più fragili.

Una chiosa finale, non di una rivoluzionaria ma della teologa svizzera Ina Praetorius, “l’economia è cura, l’opposto del modello neoliberista dominante che mette il profitto al di sopra di tutto. E, in questo modo, genera le condizioni per lo sfruttamento”.

Filiere e sfruttamento. Continuiamo a far finta di non sapere

I diritti umani sono dei principi importanti, universali, che nessuno può disconoscere. Come il diritto alla vita, il rispetto dei lavoratori, ecc. E chi si rendesse responsabile di violazione di questi diritti subirebbe un grave vulnus alla sua reputazione, sia che si tratti di un individuo, di una impresa o di un governo.

Continua a leggere

💡 I media digitali inducono alla dipendenza

«I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche». C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità.

Nel mondo digitale operano giganteschi interessi economici

Non va ignorato che «operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio».

Demolire l’autostima di qualcuno è un modo facile di dominarlo. Dietro le tendenze che mirano ad omogeneizzare il mondo, affiorano interessi di potere che beneficiano della scarsa stima di sé, nel momento stesso in cui, attraverso i media e le reti, si cerca di creare una nuova cultura al servizio dei più potenti. Da ciò traggono vantaggio l’opportunismo della speculazione finanziaria e lo sfruttamento, dove i poveri sono sempre quelli che perdono. D’altra parte, ignorare la cultura di un popolo fa sì che molti leader politici non siano in grado di promuovere un progetto efficace che possa essere liberamente assunto e sostenuto nel tempo.

Il capitalismo cambia e diventa “sostenibile”? Vedremo

Sarà la spinta della pandemia ma sembra che qualcosa cambi nel modo di concepire il capitalismo. Nessuno mette in dubbio il sistema, sia ben chiaro, ma si cominciano a notare segni importanti, anche se piccoli, che dimostrano come stia crescendo una nuova sensibilità su alcuni temi che fino a poco tempo fa sembravano esclusi completamente dalle prospettive degli imprenditori e degli studiosi di discipline economico-aziendali.

Continua a leggere

Lavoro e storia: alienazione o realizzazione di sé

Qualche nota storica, senza presunzione di approfondire temi troppo grandi per le nostre forze. Ci limitiamo a riportare a ruota libera alcune affermazioni sul lavoro e sul taylorismo da Lenin a Gramsci, lasciando ai lettori eventuali approfondimenti.

Continua a leggere

Quanti sono i manager psicopatici? 1 su 5!

american-psycho
Christian Bale nel ruolo di Patrick Bateman in “American Psycho”

Quando in precedenti articoli abbiamo trattato di questo delicato tema, cioè dell’alta percentuale di manager e leader psicopatici ai vertici delle aziende, abbiamo avuto anche reazioni scandalizzate da parte di chi ci accusava di esagerare.

Continua a leggere