L’equazione Internet = libertà è una enorme ingenuità

Scuola del futuroAbbiamo rivolto al prof. Pier Cesare RivoltellaDirettore del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media, all’Informazione e alla Tecnologia), Professore ordinario di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento, Università Cattolica del S. Cuore (UCSC), Milano – una domanda secca su un tema quanto mai di attualità.

Una certa vulgata (e anche certe prese di posizione ideologiche) vogliono che lo sviluppo di Internet rappresenti una risposta alla manipolazione e al pensiero unico imposti dai media e, di conseguenza, favorisca nuove forme di democrazia alternativa e partecipata. Noi siamo un po’ scettici su questa visione. Lei cosa ne pensa?

L’equazione internet eguale libertà di espressione e pluralismo è ingenua, per almeno due ragioni:

1) chi la sostiene non sa (o finge di non sapere) che circa l’80% del traffico nel Web (e di conseguenza delle informazioni disponibili) è attribuibile a 4 players: Facebook, Google, Amazon e Ebay;

2) chi la sostiene sottovaluta il peso del conformismo nel Web. Se il mio obiettivo è la reputation, ovvero vedermi riconosciuto da chi mi legge, sarò portato a dire quello che penso o quello che ritengo possa essere condiviso dagli altri?

Io credo che occorra molto più senso critico oggi che al tempo dei media di massa e soprattutto occorre non cedere alla tentazione di ritenere che siccome la comunicazione è disintermediata, di conseguenza siamo più liberi.

Per chi volesse saperne di più sul conto di Pier Cesare Rivoltella segnaliamo anche il suo blog, che contiene molte informazioni su questi temi e il nostro precedente articolo.

Dal canto nostro, ci limitiamo a estrapolare alcune indicazioni che riguardano un tema delicatissimo, cioè l’educazione dei giovani all’uso dei nuovi media.

Anzitutto, va da sé che i nuovi media non hanno bisogno di essere “insegnati” ai giovani che sono già abbondantemente autoalfabetizzanti. Il compito della scuola, secondo Pier Cesare Rivoltella,  perciò deve consistere soprattutto nel:

“- parlarne. Questo significa non rimuovere il problema, non sperare che altri se ne occupino, non ridurre tutto a una questione di controllo o di divieti. Occorre che la scuola capisca che su questi temi i ragazzi hanno bisogno di un suo intervento, non necessariamente curricolare, ma di sicuro educativo. Da questo punto di vista non esistono insegnanti “patentati”, non è necessario che sia per forza il docente di italiano ad affrontare il problema: come nel caso dell’educazione civica, meglio, dell’educazione alla cittadinanza, tutte le discipline e tutti gli insegnanti sono buoni. E pare che i media, oggi, abbiano strettamente a che fare proprio con la costruzione del cittadino;

– insegnare la riflessione. Lo sviluppo del senso critico, della consapevolezza, è un obiettivo tradizionale della Media education. Educare ai media ha sempre significato far riflettere il ragazzo sui messaggi, la loro struttura, le ragioni che hanno guidato la loro costruzione. I nuovi media non fanno eccezione. Essi sono espressione di una cultura (o meglio concorrono a costruire una cultura) che è compito della scuola decifrare fornendo ai ragazzi gli strumenti adatti a portare a termine questo compito;

– educare alla responsabilità. Proprio quanto sopra notavamo a proposito dei nuovi media e cioè il fatto che grazie a essi la produzione e la pubblicazione dei contenuti è qualcosa di facile e accessibile, indica un terzo punto di attenzione. Nel caso di Internet e del cellulare non è più sufficiente educare lettori attenti e consapevoli, occorre formare autori responsabili. Insegnare la responsabilità vuol dire richiamare i valori ai quali chiunque produca messaggi mediali si deve rifare. È un discorso che coinvolge lo spazio del diritto (perché la trasgressione di questi criteri comporta spesso reato), ma soprattutto quello dell’etica.”

Responsabilità ed etica. Alla fine siamo sempre lì.

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