
Da un articolo di Massimiliano Valerii (Avvenire, 9 giugno)
…Alle nostre latitudini il progresso sociale ha iniziato la frenata, lasciando una scia di delusione, frustrazione e incertezza. Si è trasferito in altre regioni del mondo e – cosa più importante di tutte – per la prima volta si è separato dal parallelo cammino della libertà.
Non solo. Nel frattempo anche la libertà nei paesi occidentali non sembra più così tutelata come in passato. (nostro commento)
La Cina, per esempio, ha compiuto avanzamenti sociali straordinari in un arco di tempo brevissimo. Negli ultimi trent’anni, il Pil è aumentato di 14 volte, il tasso di mortalità infantile è stato ridotto da 42 a 7 ogni mille nati, l’aspettativa di vita si è allungata da 69 a 77 anni, il tasso di iscrizione all’università è passato dal 3 al 58 per cento dei giovani che concludono gli studi superiori, la popolazione in miseria era pari a due terzi del totale e oggi è appena lo 0,5 per cento. All’impetuoso sviluppo dell’economia si è accompagnato l’accesso di massa ai consumi, così anche in quel paese si è formata un’ampia classe media, più sana, più istruita, più benestante. Eppure in Cina il potere è in mano a un regime autoritario e illiberale.
Questo vuol dire che la crescita economica e il miglioramento delle condizioni sociali non sono necessariamente correlati con un maggiore grado di libertà. Allora, a cosa serve la libertà, se una società può stare meglio anche senza essere libera?
Negli anni a venire le società aperte dell’Occidente dovranno misurarsi con questo interrogativo lacerante. Insinuandosi come un tarlo nelle coscienze, il dubbio può corrodere il loro basamento, vale a dire l’idea che la libertà sia l’elisir più prezioso, essenziale, indispensabile per l’emancipazione umana, per accrescere la prosperità degli individui e le fortune dei popoli.
Infine, bisogna riflettere su quale tipo di libertà sono in grado di offrire fin da ora le società aperte dell’Occidente. (nostro commento).