La libertà e le imprese

Il principio fondamentale del liberalismo è questo: quante più persone possibile dovrebbero avere la massima libertà sulla direzione che prenderà la loro vita. Espresso in questa forma, il liberalismo, come ai tempi di John Locke, è impegnato sia per la libertà che per l’uguaglianza…

Per quanto riguarda la libertà, i liberali vogliono per la persona ciò che Thomas Jefferson voleva per il paese: l’indipendenza. Quando non abbiamo altra scelta che accettare il potere di qualcun altro su di noi, non riusciamo a pensare da noi stessi, siamo limitati a condizioni di esistenza che assomigliano a una lotta senza fine per la sopravvivenza, non siamo in grado di pianificare il futuro e non possiamo possedere una dignità umana elementare. La vita autonoma è quindi la vita migliore. Abbiamo il potenziale, e siamo quindi responsabili della sua realizzazione, per essere padroni del nostro destino.

Ma allora, l’esistenza delle aziende con la loro struttura gerarchica, le loro regole amministrative, il rapporto di dipendenza che richiedono a chi lavora con loro non contrasta con l’idea che le persone sono libere, autonome e formalmente uguali?

(da: Alan Wolfe, “The Future of Liberalism”)

Liberalismo e società neoliberali

Il giurista francese Antoine Garapon rileva molto lucidamente l’abbaglio di chi si oppone al presunto totalitarismo delle società odierne neoliberali: «Il neoliberalismo trasforma il diritto privato nella propria costituzione; e fa del potere giudiziario una forma di governo.

Il totalitarismo schiaccia l’individuo? Il neoliberalismo magnifica la libertà e responsabilizza l’individuo, talvolta fino all’eccesso. Il totalitarismo si basava su una burocrazia statuale irresponsabile e improduttiva? Il neoliberalismo la riduce sempre al minimo. Il totalitarismo è nostalgico dell’unità? Il neoliberalismo spinge la divisione al suo parossismo, atomizzando il mondo in altrettante individualità.

Tutte le critiche relative al totalitarismo – la persona contro il sistema, il diritto contro l’arbitrio, i lumi della scienza contro l’oscurantismo della religione – non soltanto non colgono nel segno se riferite al neoliberalismo, ma militano piuttosto in favore di quest’ultimo. Esso si presenta infatti dalla parte della scienza, dell’individuo, del diritto, della libertà».

(da: Antoine Garapon, Lo Stato minimo. Il neoliberalismo e la giustizia, Raffaello Cortina, Milano 2012, p. 160)

La proprietà: diritto di usarne e di abusarne

La libertà dei liberali è in realtà prima di tutto libertà di possedere. Non risiede nell’essere, ma nell’avere.

L’uomo viene detto libero nella misura in cui è proprietario e in primo luogo proprietario di se stesso.

Pierre Rosanvallon

L’idea che la proprietà di sé determini fondamentalmente la libertà sarà peraltro ripresa da Marx. Alain Laurent definisce la realizzazione di sé come una «insularità ontologica il cui fine primario risiede nella ricerca della propria felicità».

Per gli autori liberali, la «ricerca della felicità» si definisce come la libera possibilità di cercare sempre di massimizzare il proprio interesse. «Il liberalismo», scrive Pierre Rosanvallon, «fa in un certo senso della spersonalizzazione del mondo la condizione del progresso e della libertà».

(da: Alain de Benoist, Il liberalismo contro il bene comune)

La libertà: fare tutto ciò che si vuole fino a che l’uso che se ne fa non limita la libertà degli altri

Nessun elemento dimostra che l’individuo possa concepirsi come un soggetto libero da qualsiasi obbligo di appartenenza, affrancato da qualunque determinismo. Così come niente dimostra che preferirà in ogni circostanza la libertà rispetto a qualsiasi altro bene. Una concezione di questo genere ignora, per definizione, gli impegni e gli agganci che non devono nulla al calcolo razionale. È una concezione meramente formalista, che non permette di rendere conto di che cosa sia una persona reale.

Ugo Grozio

L’idea generale è che l’individuo ha il diritto di fare tutto ciò che vuole sin tanto che l’uso che fa della sua libertà non viene a limitare quella degli altri. In questa ottica, la libertà è definita come pura e semplice espressione di un desiderio che non ha altro limite teorico all’infuori dell’identico desiderio degli altri, in un contesto in cui l’insieme di tali desideri è mediato dagli scambi economici.

È quanto affermava già Grozio, teorizzatore del diritto naturale, nel XVII secolo: «Non è contro la natura della società umana lavorare nel proprio interesse, purché lo si faccia senza ledere i diritti altrui». Si tratta però evidentemente di una definizione irenica: quasi tutti gli atti umani, in un modo o nell’altro, vengono compiuti a spese della libertà di altri, ed inoltre è quasi impossibile determinare il momento nel quale la libertà di un individuo può essere ritenuta di ostacolo a quella degli altri. (…)

(da: Alain de Benoist, Il liberalismo contro il bene comune)

Essere liberi. Vuole dire essere se stessi?

Dopo l’intervento appassionato di Giangiuseppe Pili sul tema del liberalismo, abbiamo avuto diverse segnalazioni da parte dei lettori, con contributi di vari autori che lo affrontano da diverse angolazioni: libertà, proprietà, politica, economia, individualismo, ecc. Chiunque può partecipare e contribuire.


A proposito dell’etica dell’essere se stessi, Mauro Magatti scrive: «Una delle ragioni per cui il mio libro si intitola Libertà immaginaria è che noi fantastichiamo sul fatto che dobbiamo essere noi stessi, mentre invece non abbiamo idea di che cosa voglia dire essere noi stessi, e tutto il mondo si dispone in maniera scientifica a creare delle situazioni in cui tu, in quanto senti di star bene, sei convinto che, sentendo di star bene, tu sia te stesso.

In questa cultura non sta più insieme nulla, se ciascuno si è sognato di essere se stesso, è chiaro che l’altro, gli altri, qualunque legame è appunto un “legame”, cioè una riduzione della tua libertà, e dunque qualcosa che, limitando la tua volontà di potenza, va bene per un po’, finché è sopportabile, dopodiché siamo liberi di fare quello che vogliamo.

Ne risulta un mondo di grande solitudine, di sofferenza, un mondo sadiano, in cui ci si sfrutta reciprocamente. E per un po’ ci facciamo contenti l’un l’altro… E poi che Dio ce la mandi buona».

(da Mauro Magatti, “Le contraddizioni della libertà. Logica del capitalismo tecno-nichilista” e Mauro Magatti, Silvano Petrosino e Massimo Recalcati, “Pensare il presente”, Nuova Editrice Berti, Piacenza 2013, pp. 53-54)

Giangiuseppe Pili. Per capire il liberalismo

Crediamo che sia opportuno ospitare anche idee che possono in qualche modo confliggere con quelle che il nostro blog presenta spesso. Anzi. Riteniamo che questo dovrebbe essere il primo compito di chi svolge una funzione comunicativa, per quanto limitata come la nostra.

Abbiamo bisogno di sentire altre campane. Abbiamo bisogno di essere contraddetti. Dobbiamo sempre rimetterci in discussione senza sovrastimare le nostre idee, senza sospettare che chi avanza idee che sono diverse dalle nostre, sia contro di noi. Al contrario: ci offre una bella occasione per riflettere senza pregiudizi e con mente libera su alcuni temi politici importanti. Non sprechiamola.

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Il capitalismo cambia e diventa “sostenibile”? Vedremo

Sarà la spinta della pandemia ma sembra che qualcosa cambi nel modo di concepire il capitalismo. Nessuno mette in dubbio il sistema, sia ben chiaro, ma si cominciano a notare segni importanti, anche se piccoli, che dimostrano come stia crescendo una nuova sensibilità su alcuni temi che fino a poco tempo fa sembravano esclusi completamente dalle prospettive degli imprenditori e degli studiosi di discipline economico-aziendali.

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La forza della brand identity

L’evoluzione del concetto di brand. Dalla brand equity alla brand identity fino alla brand reputation. La corretta gestione della comunicazione del marchio. Prima di tutto, la coerenza

Il brand non è un fenomeno nuovo, nato con la società dei consumi. Ha radici lontane. Qualche esempio lo troviamo addirittura a partire dall’impero romano: ceramiche, vetri, botti, anfore, ecc. venivano distinti gli uni dagli altri attraverso firme (signa), bolli, timbri, applicati da commercianti e artigiani che li lavoravano. Non erano solo marchi di fabbrica ma veri e propri segni distintivi di provenienza e di qualità.

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Digitalizzazione: non rinunciamo ad essere cittadini responsabili

Mi sembra opportuno e interessante riportare uno scambio di opinioni tra il sottoscritto e il filosofo Francesco Varanini su alcuni temi legati al suo ultimo libro “Le Cinque Leggi bronzee dell’era digitale e perché trasgredirle”, che invitiamo a leggere.

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