Dalla prefazione al libro in oggetto di Roberto Diodato, stralciamo alcuni brani significativi.
“…la costituzione stessa della forma d’epoca contemporanea, effetto di trame storico-culturali particolarmente complesse (…) ha prodotto un semplice risultato: siamo diventati una specie nuova, almeno per quanto oggi è di massa: l’uomo consumatore, e come tale abbiamo depredato senza remore l’ambiente e sfruttato senza pietà i più deboli, cercando in tutti i modi, spesso raffinati e intelligenti, di rimuovere e anestetizzare il nostro senso di colpa.”
Tra gioia effimera e insoddisfazione felice
Jean Soldini
“Concentrati su noi stessi, sui nostri desideri, abbiamo ridotto il nostro personale sentire, sentire noi stessi, il mondo, gli altri, a non essere altro che la ripetizione del già sentito, di un immaginare, gustare, provare emozioni e sentimenti costruito altrove da dispositivi potenti, da pervasivi intrecci tra sapere e potere che hanno come obiettivo fondamentale il profitto, e il potere in funzione del profitto, per raggiungere il quale producono in noi una gioia insieme costante ed effimera, una perenne insoddisfazione felice.”
Riflettiamo su una frase molto importante di Francis Scott Fitzgerald, “essere capaci di vedere che le cose sono senza speranza, e tuttavia essere decisi a cambiarle”.
Yuri Berio Rapetti ha coniato il termine teocnocrazia per significare l’idolatria della tecnica, promossa dai fautori profetici di uno sviluppo ipertecnologico (tra cui il postumanismo e il transumanismo). Secondo l’autore bisogna mettere in guardia verso una tendenza sotterranea e pervasiva nella nostra società, in cui la tecnica ha investito e modificato quasi tutti gli ambiti dell’esperienza umana.
I brani che in questi giorni abbiamo pubblicato sono stati tratti dall’ultima enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” (Ottobre 2020).
E, per finire, o meglio, per incominciare, riportiamo anche alcuni brani dell’intervento del Papa al Forum di Assisi.
“Non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale. Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse. No, non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti”.
“Siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati, è tempo, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, è tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi” siano protagonisti”.
Il capitalismo, o meglio il realismo capitalista, ci ha liberato da quelle che il filosofo francese Alain Badiou chiama “astrazioni fatali”. L’accenno al famoso film che ha un titolo simile (al singolare) non è casuale.
In un libro uscito recentemente per Guanda Editore, “Il manifesto del rinoceronte. L’avventura del liberalismo”, Adam Gopnik, scrittore e giornalista, svolge una appassionata difesa del liberalismo. Riconosce che le idee liberali si sono poste sempre in una posizione intermedia e, quindi piuttosto scomoda, tra quelle di stampo conservatore e quelle che predicano spinte radicali o rivoluzionarie.
Abbiamo rivolto alcune domande sul tema “Gerarchia e organizzazione” a Francesco Maiolo, professore all’Università di Roma3, Dipartimento di Scienze Politiche. Qui di seguito le sue risposte.
Temi trattati:Difficilmente si rinuncerà al primato del profitto. La Governance si è incaricata di potenziare il profitto attraverso le cosiddette “riforme strutturali”: concentrazioni aziendali, delocalizzazione, finanziarizzazione, privatizzazione dei servizi pubblici, ecc. E prima di tutto, lo smantellamento del patto sociale. Al cittadino resta l’illusione di diventare imprenditore di sé stesso, senza acquisire maggiore autonomia e creatività ma accollandosi un crescente rischio sulle sue spalle e rinunciando a una fetta di diritti sociali. Fino alla normalizzazione e allo svuotamento della sua personalità.
Abbiamo rivolto alcune domande sul tema “Gerarchia e organizzazione” a Francesco Maiolo, professore all’Università di Roma3, Dipartimento di Scienze Politiche. Qui di seguito le sue risposte.
Temi trattati:La gerarchia è una necessità “naturale” per far funzionare un’organizzazione aziendale, a prevalente scopo di profitto? E il profitto è un mezzo o un fine? Il principio gerarchico – magnificato da chi ne trae vantaggi e osteggiato da chi ne subisce le conseguenze – può anch’esso trasformarsi da mezzo a fine e la volontà di persuasione diventare volontà di potenza, perdendo così di vista il valore sociale e politico dell’azienda. In ogni caso, prima di parlare di “democratizzazione” di un’azienda, si dovrebbe parlare della sua “repubblicanizzazione”.
Riportiamo, da un articolo apparso qualche giorno fa sul “Guardian” (18 marzo), alcuni spunti ripresi e sintetizzati da un’intervista con Mariana Mazzucato, professore di economia all’University College di Londra e autrice di “The Value of Everything”.
Siamo lieti di riportare qui di seguito un nostro articolo intitolato “Rischio e incertezza”, pubblicato dal magazine on line diretto da Ugo Canonici, “DM&C” Direct Marketing, Marketing e Comunicazione.
Per ricordare Paolo Villaggio, scomparso da qualche mese, ci piace segnalare un film, non particolarmente riuscito ma con diversi spunti di interesse per il nostro blog. Il titolo è “Dottor Jekyll e gentile signora” con una ancora giovane Edwige Fenech.