Stefano Zamagni (1). Covid-19: mai dimenticare l’umiltà e la prudenza

Stefano Zamagni, economista e professore presso l’Università di Bologna

Cosa succederà dopo la pandemia? Si va da chi pensa che tutto tornerà come prima e chi ritiene che niente sarà più uguale al passato.

Il pubblico sta comprendendo l’importanza di agire sempre di più per il bene comune e per gli interessi generali, si sforza di abbandonare forme di burocrazia per rendere più efficaci gli interventi per aiutare i cittadini ma anche le imprese private a riprendersi dopo la terribile crisi economica.

Il privato, dal canto suo, tranne qualche eccezione, si rende conto che non è più il tempo di pensare solo agli interessi aziendali, dimenticando il bene comune.

A questo punto, potrebbe essere arrivato il momento di mettere in discussione la visione dicotomica tra pubblico, luogo di ricerca del bene comune e dell’altruismo, e privato, luogo di interessi individuali ed egoismo, per individuare nuove strade?

L’abbiamo chiesto al professor Stefano Zamagni, Professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy al Johns Hopkins University, Bologna Center, che gentilmente ci ha inviato un suo prezioso contributo dal quale abbiamo estrapolato alcuni punti salienti. Questa è la prima parte. Le altre due seguiranno nei prossimi giorni. Il testo integrale in formato pdf è comunque a disposizione di chiunque lo volesse consultare qui.

Quale insegnamento possiamo trarre da questa pandemia?

Il SARS-Cov-2 è tuttora un grande sconosciuto. Sappiamo dove è nato (Wuhan, Cina), ma non conosciamo come si è sviluppato, né quanto durerà l’epidemia, né se il virus si autolimiterà o meno.
Invece, delle gravi conseguenze di natura sanitaria, economica e sociale, di questa terribile crisi sappiamo ormai quasi tutto.

E’ importante puntare sulla scienza per affrontare questa pandemia?

La scienza è altrettanto erratica quanto altre pratiche umane – come il falsificazionismo popperiano da tempo ci ha insegnato.
Guai dunque a coltivare l’illusione che sarà la tecnoscienza a risolvere i problemi attribuibili alla deficienza della virtù dell’umiltà. Si continui pure ad investire sull’intelligenza artificiale, senza però dimenticare l’intelligenza dell’umiltà. (Umile, da humus, è chi sa stare con i piedi ben piantati a terra!).
Il coronavirus si è diffuso nella maniera di cui ora sappiamo perché esso ha trovato il suo fitting (adattamento) nel tipo di società che noi abbiamo costruito: megalopoli disumane; aumento endemico delle disuguaglianze sociali che spingono i gruppi meno abbienti a cibarsi della carne di animali selvatici commerciati nei wet market; una urbanizzazione frenetica che distrugge gli habitat animali, alterando le relazioni tra umani e animali.

Un wet market

Come si è potuto allora far credere a cittadini inesperti che il COVID 19 fosse un caso di cigno nero, un evento cioè imprevedibile e sconvolgente? Quale dunque il messaggio importante?

Che negli ultimi decenni, la cultura occidentale ha di fatto dimenticato, quando non deriso, la pratica di quella virtù cardinale che è la prudenza – l’auriga virtutum, secondo la definizione dell’Aquinate, in quanto guida sicura di tutte le altre virtù. Si è infatti voluto far credere che prudente è il soggetto pavido, che teme di prendere decisioni perché avverso al rischio. Mentre è vero esattamente il contrario: prudenza, dal latino providentia, è la virtù di chi sa vedere lontano, per prendere decisioni oculate nel presente.

La Prudenza di Giovanni Balduccio presso Cappella Portinari

Tra modello “alluvione” e “resilienza trasformativa”

Come uscire dalla crisi?

L’intrigante bivio di fronte al quale si trova oggi il nostro paese è quello riguardante la scelta della strategia di uscita dalla crisi. Due le opzioni principali. Per un verso, quella del ritorno alla situazione precedente alla crisi, una volta apportati gli aggiustamenti urgenti e necessari. È questo il “modello dell’alluvione”: si attende che l’acqua rientri nell’alveo del fiume; si rinforzano poi gli argini del fiume; dopodiché si procede al “business as usual”. Per l’altro verso, c’è l’opzione della resilienza trasformativa, il cui obiettivo è quello di accrescere le capacità di resistenza del sistema nei confronto di future crisi di sistema.

Dopo tutto, perché mai sprecare l’occasione di una crisi così profonda per imprimere al sistema Italia un cambio radicale di passo?

Leggi la 2° parte dell’intervista
Leggi la 3° parte dell’intervista

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