Lavoro in presenza e lavoro a distanza. Risvolti psicologici

Attualmente, a fronte dell’aumento dei casi di pandemia, vi sono posizioni diverse riguardo al ricorso allo smart working. C’è chi lo vorrebbe ridurre (particolarmente nella Pubblica Amministrazione) e chi invece ritiene sia necessario continuare a ricorrervi, anzi ampliandolo, considerando positive le esperienze del passato, anche in relazione all’esigenza di tutela della salute collettiva.

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Tra assenteismo e presenteismo. Prendersi le proprie responsabilità

Bisogna avere il coraggio di dire che chi non si prende la responsabilità del proprio lavoro in questi tempi è un incosciente. In una situazione complessa e difficile come quella che stiamo vivendo a causa della pandemia, riteniamo che qualsiasi lavoratore, a qualsiasi livello, non possa esimersi dal prendersi la responsabilità di quello che fa. Anche se la sua è una attività che può apparire meno strategica e importante di altre.

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La ripresa dopo la pandemia si chiama “desiderio”

Il Censis nell’ultimo rapporto 2020 definisce il nostro Paese “una ruota quadrata che gira a fatica”. Cresce nel nostro Paese la tendenza all’inerzia, alla passività, al disimpegno, allo scetticismo. Nessuno, specialmente i giovani, sembra più disposto a mettersi in gioco.

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Il capitalismo cambia e diventa “sostenibile”? Vedremo

Sarà la spinta della pandemia ma sembra che qualcosa cambi nel modo di concepire il capitalismo. Nessuno mette in dubbio il sistema, sia ben chiaro, ma si cominciano a notare segni importanti, anche se piccoli, che dimostrano come stia crescendo una nuova sensibilità su alcuni temi che fino a poco tempo fa sembravano esclusi completamente dalle prospettive degli imprenditori e degli studiosi di discipline economico-aziendali.

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Le aziende verso l’apprendimento di scala

Nonostante la premessa – che fino a poco tempo fa poteva sembrare ovvia – che la tecnologia avrebbe semplificato il lavoro delle aziende, in realtà non sembra che ciò stia avvenendo. Siamo di fronte a una crescente complessità, aggravata da fattori esogeni che non erano previsti, come la pandemia, e le imprese si trovano a dover affrontare cambiamenti sempre più rapidi e imprevedibili.

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Dalla pandemia alla infodemia: la sindrome della capanna e l’ansia da limbo

La pandemia crea disagio psicologico. E’ una verità ormai assodata. Sia per chi ci è passato – cioè ha avuto il Covid e ne è uscito indenne – sia per chi teme di caderne vittima. Si manifesta con problemi di ansia, in modo diretto per il fatto che il nemico – il virus – è sconosciuto e subdolo, o perché ne abbiamo sperimentato su di noi o su congiunti e amici la sua virulenza; in modo indiretto, a causa dei media e dei social che ci espongono a un continuo flusso di notizie per nulla tranquillizzanti e, soprattutto, molto contraddittorie. Questo secondo tipo di pandemia è stata definita infodemia.

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