La storia è ancora “magistra vitae”? Intervento di Giacomo Samek Lodovici

Spesso ci chiediamo quale ruolo abbia svolto o svolga il nostro passato, la storia che abbiamo vissuto – come società nel suo insieme e come persone – sul nostro comportamento quotidiano e sulla nostra idea di futuro. E’ proprio vero che chi non conosce il passato è destinato a ripeterlo?

I contesti cambiano, applicare soluzioni del passato al presente non è garanzia di successo. La storia è una guida provvisoria per l’azione presente, possono esserci delle somiglianze con il passato ed è meglio avere alcune informazioni piuttosto che non averne. Ma la storia va presa sempre cum grano salis.

D’altra parte, chi ci racconta la storia lo fa partendo dal suo punto di vista che può essere parziale, difettoso o distorto. Nessuno ci garantisce che sia quello il giusto modo di leggere la storia e quindi di trarne degli insegnamenti. Anche perché la stessa storia raccontata in epoche diverse cambia…

Forse non aveva tutti i torti Henry Kissinger quando nel suo pragmatismo diceva: “La storia non è un libro di cucina che offre ricette pronte. Insegna per analogia, non per regole. Può essere utile a comprendere le conseguenze delle azioni in situazioni comparabili, ma ogni generazione deve scoprire da sé quali situazioni sono effettivamente comparabili .”

Su questo tema, abbiamo voluto raccogliere una riflessione del professor Giacomo Samek Lodovici, che è Docente di Filosofia della Storia e di Storia delle dottrine morali presso l’Università Cattolica di Milano. Ecco le sue considerazioni.

La storia è davvero magistra vitae? C’è una qualche utilità nello studio della storia?
Ovviamente la risposta a questa domanda richiederebbe una lunga trattazione, che fuoriesce dai limiti di spazio del presente breve intervento, dunque mi limiterò a pochi cenni, senza la minima pretesa di esaustività. Dunque: c’è una qualche utilità nello studio della storia? Dipende.
Quando la storia la scrivono i vincitori, i potenti, i faziosi, ecc., manipolandola per dei progetti ideologici, economici e di potere, le ricostruzioni storiche faziose o fittizie sono dannose.
Quando invece, sia pur con molte difficoltà, alcuni testi storici raggiungono una parziale (certo non totale) oggettività (cfr. il vasto dibattito sull’oggettività della storia e sulla metodologia della ricerca storica) la risposta è affermativa.

Per motivare questa risposta affermativa bisogna fare – senza poterla qui argomentare – una premessa sul piano ontologico: da un lato la storia non ha un andamento ciclico, non è un eterno ritorno dell’uguale e piuttosto di epoca in epoca ci sono delle novità, in quanto l’uomo è capace di istituire il novum, dall’altro ci sono anche delle somiglianze, dei corsi e ricorsi storici (come dice Vico), delle analogie. E nello stesso tempo ogni generazione deve imparare quali situazioni presenti siano effettivamente comparabili a quelle passate.

E, allora, la memoria storica giova per trarre dalle vicende storiche degli insegnamenti preziosi, che, però, dal punto di vista operativo solo raramente sono delle precise indicazioni e molto spesso sono piuttosto suggerimenti solo per analogia (ribadiamolo), data la complessità delle innumerevoli situazioni concrete e dato il novum in esse sussistente, il che richiede, appunto operativamente, una capacità inventiva (nel senso dell’invenire) della ragione umana.

Una “storia monumentale” e …

Ciò detto, per continuare a rispondere alla questione iniziale ci offre qui di seguito molte idee condivisibili un testo giovanile di Nietzsche (le cui tesi non sono state tutte riconfermate nei suoi lavori successivi): la II Considerazione inattuale (1874), intitolata Sull’utilità e il danno dello studio della storia per la vita.

Nietzsche scrive che c’è una ‘storia monumentale’ che guarda al passato per rintracciarvi modelli e maestri che non trova nel presente. Essa giova a chi è attivo e nutre aspirazioni e usa la storia come mezzo contro la rassegnazione: osservando le vette del passato (i monumenti, intesi come opere, azioni, imprese, ecc.) comprende che la grandezza umana fu una volta possibile e perciò lo può essere ancora. Anche Foscolo dice che «A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti»: i grandi del passato possono costituire dei modelli paradigmatici nei vari campi della prassi.

Noi possiamo aggiungere che anche gli errori, gli orrori e le malvagità del passato devono essere istruttivi, per cercare di non ricommetterli più. T.S. Eliot dice che la memoria serve per liberarsi, per esempio dalle ideologie, che, periodicamente, a volte, ri-propongono alcune menzogne similari.

Tornando a Nietzsche, questa forma di storia ha anche dei risvolti dannosi, quando tende a dimenticare i momenti negativi del passato per ricordare soltanto le gesta e i fatti positivi; inoltre, può indurre qualcuno al fanatismo, oppure al contrario può paralizzare l’iniziativa umana, quando certi esseri umani del passato vengono considerati ineguagliabili.

…una “storia antiquaria”

C’è poi, per Nietzsche, una ‘storia antiquaria’, che guarda con amore e venerazione al luogo e alle radici da cui si proviene e quindi ispira amore nei loro riguardi e fa sentire eredi di un passato che, almeno in alcuni aspetti, è meritevole di essere conservato.

Noi potremmo chiosare che c’è una giusta affezione verso le proprie origini: non solo verso i propri genitori, verso il proprio luogo di provenienza (anche dal punto di vista paesaggistico), la propria casa (con i sapori dei cibi consumati, con i suoni varie volte riecheggiati ecc.), il proprio Paese (senza però cadere nel nazionalismo), ma appunto anche verso le proprie radici, verso la propria cultura-tradizione (se è buona e senza cadere nell’attaccamento fissista del tradizionalismo) e verso la storia del proprio popolo. Il fenomeno contrario, in sintonia con Kierkegaard e Heidegger, è lo ‘spaesamento’, il non sentirsi a casa nel mondo, la perdita del vincolo con le proprie radici. Questa affezione può aiutarci a non cadere nell’egoismo perché ci rammenta che dobbiamo molto ad altri che ci hanno preceduti e ci spinge alla gratitudine.

Tornando a Nietzsche, anche la storia antiquaria può avere un risvolto negativo, perché può limitare il nostro campo visivo solo alla tradizione a cui apparteniamo e farci rifiutare ciò che è nuovo e diverso, può scadere nella furia collezionistica di frammenti del passato che mummifica la vita inaridendo la freschezza del presente.

Infine, poiché molti esseri umani non apprendono alcun insegnamento dalla storia e commettono azioni nefaste e/o malvagie che avrebbero potuto evitare se da essa si fossero lasciati ammaestrare, si potrebbe concludere che uno degli insegnamenti più importanti che si può ricavare dalla storia è proprio che ogni generazione deve sempre più imparare ad imparare dalla storia.

Giacomo Samek Lodovici è autore di svariati saggi e delle seguenti monografie: La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero 2002; L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero 2004; Il ritorno delle virtù. Temi salienti della Virtue Ethics, Edizioni Studio Domenicano 2009; L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero 2010; La socialità del bene. Riflessioni di etica fondamentale e politica su bene comune, diritti umani e virtù civili, ETS 2017.

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