La sindrome del CEO di successo. La storia di Fred

Marina Hatsopoulos

Marina Hatsopoulos è una donna in gamba. Se critica pesantemente i CEO perché sono troppo egocentrici, lo fa a ragion veduta. Lei è presidente del Consiglio di amministrazione della Levitronix, una azienda leader mondiale dei motori a levitazione magnetica, oltre a vantare altre prestigiose cariche.

In breve, Marina sostiene che non è la pandemia, la concorrenza o l’obsolescenza tecnologica che possono bloccare una azienda nella sua crescita ma spesso è proprio un Amministratore Delegato troppo pieno di sé, che diventa vittima del suo stesso successo, a causa del suo ego spropositato che gli impedisce di vedere la realtà intorno a sé in modo obiettivo.

Marina ce lo racconta senza fare nomi. Anche se forse potrebbe. E racconta una storia che ha molti legami con la realtà. Si immagina un imprenditore di nome Fred, creatore di un prodotto innovativo che vuole proporre sul mercato. Lo immagina impegnato in lunghe ed estenuanti riunioni per far accettare la sua idea, contrastata da chi la critica sotto diverse ottiche. Lo immagina battersi come un leone per ottenere i finanziamenti, pronto peraltro a ridimensionare la sua idea, riprogettare più e più volte il prodotto per renderlo appetibile al mercato e adeguato in relazione al valore.

Alla fine di questi estenuanti passaggi, che hanno comportato fallimenti e ripensamenti continui, oltre a notevoli modifiche rispetto all’idea originaria, avviene il lancio. E con esso arriva anche il successo. Ecco che Fred sale sugli scudi. Anche nei confronti di chi all’inizio lo ha criticato egli appare il vincitore. E’ un imprenditore visionario che ha colto nel segno. Il successo gli ha arriso. La sua azienda si sviluppa. Fred assume nuovi dipendenti. Che gli riconoscono grandi capacità. Nessuno di loro è a conoscenza del travaglio che ha comportato questa sua iniziativa. Tutti si fidano di lui ciecamente. Ma qui può avere inizio il suo declino.

Fred ce l’ha fatta. È vero. E’ arrivato dove voleva arrivare. I contrasti, le delusioni, le battaglie perse sono dimenticate. E’ il migliore. Nessuno ha più il coraggio di contraddirlo. Quando entra in una riunione è la persona più intelligente della sala (Il bello è che ci crede sul serio).

Viene trattato con deferenza, rispetto da chiunque. Viene considerato un esperto del settore, gli articoli su di lui si sprecano e a lui piace rilasciare interviste. Le sue parole sono “oro colato” anche se non sempre dice cose sensate. Se le sue idee sembrano assurde non è lui che esce dal seminato sono gli altri che non capiscono e che si devono adeguare.

Spesso viene chiamato come oratore a grandi eventi, tutti lo riconoscono, e comincia a rendersi sempre meno disponibile. Se qualche giovane imprenditore gli propone delle idee nuove lui li snobba, anche se potrebbero essere una minaccia per la sua azienda. E’ entrato in una dimensione nella quale si illude che qualsiasi cosa faccia vada bene, che sia invincibile, un vero leader che non può sbagliare. Qui scatta la “sindrome del CEO vincente” ma qui può anche iniziare la sua parabola discendente. E, spesso, catastrofica.

Quando nella sua azienda ci sono decisioni da prendere, spettano a lui (chi altro, se no?). In una riunione chi oserà fare un obiezione o solo avanzare una proposta alternativa? Nessuno. Se c’è un visionario quello è lui. Lui solo può divinare il futuro. Evita qualsiasi feedback o se lo accetta è per demolirlo con supponenza (come si permettono?). Non si abbassa a chiedere ai suoi collaboratori pareri, idee, suggerimenti. L’impulso primordiale che l’ha lanciato in alto gli impedisce di rendersi conto di minuscoli esseri che gli ruotano attorno. Insignificanti e fastidiosi. Non sono le parole precise della Hatsopoulos. Ci siamo lasciati prendere la mano. Ma siamo certi di non esagerare.

Il problema è che Fred non ha alcun punto di riferimento esterno a lui. E’ troppo preso da sé stesso. E’ invadente, mette il becco su ogni cosa (si chiama micromanaging), non vuole delegare, si stupisce se un concorrente ha un’idea o un prodotto migliore dei suoi. Fred crede nelle sue capacità e nella sua visione. Si è lasciato alle spalle tutti i suoi fallimenti e i “no” che ha collezionato prima che il successo gli arridesse. Non capisce che sono stati proprio quei “no” e quei fallimenti che gli hanno consentito di emergere. Di diventare quello che è ora.

Se non vuole fallire, Fred ha bisogno di qualcuno che gli parli in modo franco e diretto, che sia persino pronto a sfidarlo. Ha bisogno di persone con background, esperienze e competenze diversificate che possano scardinare quell’arroccamento su sé stesso che gli impedisce di avere una visione obiettiva. Ci riferiamo al suo senior management team, ai suoi consulenti, al suo consiglio di amministrazione. Gente che non può non aver a cuore il successo dell’azienda, Ma è indispensabile che Fred rispetti le loro posizioni, che scenda dal suo piedistallo, che riveda certe idee, abbia la capacità di rimetterle in discussione. Se Fred è intelligente non potrà ignorarli e comincerà ad imparare che avere successo non significa vincere sempre e ad ogni costo, ma riconoscere i fallimenti, gli errori, i passi falsi e, forse, potrà definitivamente superare la “sindrome da CEO vincente”.

Cosa è mancato, alla fine, al nostro Fred? La modestia e l’umiltà. Il successo è frutto di una serie infinita di variabili, spesso non replicabili. Riconoscerlo significa diventare imprenditori più responsabili e più umani.

Una risposta a "La sindrome del CEO di successo. La storia di Fred"

  1. Ugo Perugini aprile 17, 2021 / 3:41 PM

    Marina Hatsopoulos ha commentato l’articolo e la mia conclusione. Riportiamo in italiano le sue parole.

    “Ciao Ugo, grazie mille per aver tradotto e pubblicato il mio articolo! Per quanto riguarda le tue domande: non penso che la modestia sia in cima alla lista, ma penso che lo sia l’umiltà, perché è molto facile sottovalutare gli altri, che si tratti di grandi aziende che sembrano lente o di nuove startup che spuntano. Apprezzare e valorizzare i contributi di tutti i membri del team è anche incredibilmente importante, perché la salsa magica per qualsiasi startup è quella serie diversificata di talenti ed esperienza che compongono il tuo team fondatore. È sempre importante imparare dai propri errori, altrimenti non crescerai e non migliorerai mai. Nessuno è abbastanza intelligente da avere tutte le risposte giuste e fare tutte le cose giuste la prima volta, ma se impari dai tuoi errori puoi continuare a fare meglio.”

    Ma poi sulla parola modestia ha avuto un certo ripensamento che apprezziamo:

    “Ho solo cercato la parola “modestia” e ho cambiato la mia risposta. Sì, anche la modestia è importante! Questo è ciò che consente a qualcuno di ascoltare le critiche, condividere il merito con gli altri e imparare da ciò che dicono gli altri.”

    Grazie Marina. Alla prossima!

    "Mi piace"

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